Il colosso minerario Rio Tinto ha posto degli esplosivi in una parte della gola di Juukan, nel nord dell’Australia, per ricavarne delle miniere. Solo, non si era accorto (o forse ora finge di non essersene accorto prima) che quel luogo era costellato dalle grotte sacre agli aborigeni, la minoranza etnica e allogena dell’Australia, che venera quelle grotte, naturali e scavate nel suolo, da ben 46 mila anni.

Le grotte si trovano nella catena montuosa delle Hamersley Ranges, nella regione di Pilbbara, l’unica in Australia con resti, risalenti all’era glaciale, dell’uomo.

Quelle grotte, di cui una è andata distrutta nell’esplosione causata da Rio Tinto.

“Siamo spiacenti per l’angoscia che abbiamo causato” dichiara ora Chris Salisbury, presidente dell’associazione mineraria più grossa del mondo, multinazionale americana fondata da Hug Matheson, che si occupa di estrarre e lavorare le risorse minerarie, fatturando circa 44 miliardi di dollari all’anno. Salisbury ha promesso di rivedere tutti i piani di estrazione mineraria dello Juukan.

In quelle grotte erano state rinvenuti circa 7000 reperti, come utensili da macinazione, pettinini in ossa e capelli intrecciati, appartenenti a più di 4000 anni fa, all’etnia degli aborigeni che vivono ancora oggi, se pur in minoranza, nella terra rossa. Burchall Hayes ha dichiarato al Guardian Australia che l’area è una delle più sacre del continente; il Puutu Kunti Kurrama assieme alla Pinikura Aboriginal Corporation tentano invano, da anni, di fermare il colosso minerario che si sta prendendo a poco a poco la loro terra. Il ministro degli affari aborigeni, Ben Wyatt, si è scusato ammettendo di non essere stato a conoscenza dei lavori finiti così tragicamente per la zona, patrimonio dell’Unesco.