Una valanga di miliardi europei potrebbe riversarsi sull’Italia: oltre ai 173 miliardi del Recovery Fund ovvero ‘Next Generation Eu’, per rilanciare l’economia affossata dal coronavirus e ai 37 del Mes – se li richiederemo – ci sono i fondi di Sure e Bei. Questi enormi stanziamenti provengono da un piano europeo di 2400 miliardi, che diventano 3000 se si considera l’effetto moltiplicatore di alcuni strumenti, a disposizione di tutti i Paesi comunitari.

Ma a raffreddare gli entusiasmi conseguenti ecco alcune realtà.

Il Recovery Fund, ad esempio, dovrà essere approvato all’unanimità dai 27 Paesi UE, compresi i cosiddetti “frugali” del Nord (anche se di frugale la capolista Olanda ha ben poco) da sempre contrari agli “spreconi” del Sud: se tutto va bene arriviamo al 2021, quest’anno disponibile ci sarà molto meno.

Poi, solo una parte degli stanziamenti sarà a ‘fondo perduto’ (sovvenzioni) il che è molto lontano dal” piano Marshall” ; per la maggior parte si tratta di prestiti che dovremo comunque restituire anche se a condizioni favorevoli.

E ancora. Il denaro serve a una modernizzazione dell’economia non solo al rilancio della congiuntura, con priorità al digitale e alla green economy. Indispensabili perciò le riforme in casa nostra: dal sistema fiscale alla giustizia e al mercato del lavoro, dalla maggiore efficienza della pubblica amministrazione all’istruzione e alla ricerca. Si renderanno quindi necessari progetti specifici per ciascun settore che verranno finanziati secondo l’andamento dei lavori.

Ma le intenzioni europee mostrano una grave carenza: nessun cenno ad un progetto di Edilizia residenziale pubblica-Erp, elemento trainante di ogni economia e base di stabilità sociale.

Ci si rende subito conto che non ci sono imposizioni all’Italia in cambio degli stanziamenti, come avvenne nel caso della Grecia. Ma si lascia al Paese il compito non facile di portarsi al livello dei più avanzati Paesi europei: una modernizzazione forzata, insomma.

Saremo in grado di invertire una rotta che da un quarto di secolo – singolare coincidenza, da quando lo Stato eliminò ogni investimento in Erp – ci vede fanalini di coda in Europa? Qualche dubbio viene dal caso dell’utilizzo dei Fondi europei destinati all’Italia (145 miliardi nel settennio 2014-2020) che siamo riusciti a utilizzare solo in parte; e non conforta l’instabilità politica nazionale e regionale.

Achille Colombo Clerici