Vittime della pandemia sono gli esseri umani, soprattutto i più fragili, ma non solo. Vittima del virus è anche la comunicazione sociale, da 17 mesi ridotta a un ossessivo “bollettino giornaliero dei contagi”. Da perderci il senno.

Per consolarci leggiamo un racconto del famoso e insuperabile Edgar Allan Poe. 

Questo è l’incipit de “La maschera della Morte rossa”. Di che cosa parla? Di una peste sterminatrice, ovviamente. Come dire: il Covid-19 dell’epoca.

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“Un muro forte e altissimo la circondava” (l’abbazia merlata del principe Prospero)

immagine Pixabay

Da tempo la “morte rossa” devastava il paese.
Mai epidemia era stata più fatale, o più spaventosa. Il sangue era la sua manifestazione e il suo suggello, il rosso e l’orrore del sangue. Essa appariva con dolori acuti, uno stordimento improvviso, poi un sanguinare diffuso dai pori, infine sopravveniva la dissoluzione. Le macchie scarlatte sul corpo e soprattutto sul volto delle vittime rappresentavano il marchio della pestilenza che precludeva ai colpiti ogni aiuto e ogni comprensione da parte dei propri simili. E l’attacco, il progredire e la conclusione del male si risolvevano nello spazio di mezz’ora.

Ma il principe Prospero era una creatura felice, indomabile e preveggente. Quando le sue terre furono a metà spopolate, egli radunò al proprio cospetto un migliaio di amici sani e spensierati scelti tra i cavalieri e le dame della sua corte, e con costoro si ritirò nell’inviolato isolamento di una delle tante sue abbazie merlate. Era una costruzione enorme, splendida, creata dal gusto eccentrico e sfarzoso del principe in persona. Un muro forte e altissimo la circondava. Questo muro era munito di cancelli di ferro. Appena furono entrati, i cortigiani presero incudini e martelli massicci e saldarono le serrature. Erano decisi a non lasciare alcuna possibilità d’entrata o di uscita agli improvvisi scatti di disperazione o di demenza che potevano nascere all’interno. L’abbazia era ampiamente fornita di viveri, e con tante precauzioni i cortigiani potevano permettersi di sfidare il contagio. Che il mondo esterno pensasse a se stesso: nel frattempo era follia addolorarsi o pensare. Il principe si era preoccupato di provvedere a tutti i mezzi di divertimento: vi erano buffoni, “improvvisatori”, ballerini, musicanti, vi era la Bellezza, vi era il vino. Tutte queste cose e la sicurezza regnavano là dentro: fuori infuriava la “morte rossa”. (… …)

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