Parigi, 14 luglio 1789. La Bastiglia è presa, assalita, i prigionieri (pochi pazzi) liberati. Le guardie (poco lungimiranti) assassinate. Il simbolo della Rivoluzione è servito: il terzo stato s’è destato, la plebe è in rivolta, gli adamantini indiamantati nobili fuggiranno troppo tardi. Dal fatidico quatorze juillet, Madame la Guillotine troneggerà su (la futura) Place de la Concorde, ove il re senza corona perderà la testa.
Contro il Terrore degenere della Libertà si scagliarono nobili e intellettuali, gli stessi, però, che ne avevano elogiato il principio: tra questi Vittorio Alfieri che elogiò la presa della Bastiglia, con un’ode, meno nota ai più, “Parigi Sbastigliato***”
*** QUI potete leggere integralmente il Parigi Sbastigliato.
il Piemontese cosmopolita, trageda più grande del XVIII secolo esclama:
Deh! se intera la Gallia, onde voi sete
Il nobil fior, pietade in sen vi desta,
Sommerse omai sian le discordie in Lete!
Popol, Patrizj, Sacerdoti, è questa
La via, per cui quel sacro allor si miete,
Che il ben d’ogni uom nel ben di tutti innesta.
***
All’armi, all’armi, un generoso grido
Fa rintronar di Senna ambe le rive:
All’armi, all’armi, eccheggia
Francia intera dall’uno all’altro lido.
(…)
Ecco sgorgare, impetuoso fiume,
Il gran popol da destra e da sinistra,
Irresistibil stuolo.
(…)
Tratti sono alla pura aura serena
I prigionieri miseri innocenti.
Era a Parigi, Vittorio Alfieri, con l’amata sua “dolce metà” Luisa Stolberg contessa d’Albany. Nel terribile ’93 la coppia fuggirà appena in tempo per aver salva la vita (ma non i denari, poiché saranno espropriati) dai rivoltosi giacobini i quali, da “bianchi e vermigli” come più tardi avrebbe detto il Carducci nel ça ira, saranno poi chiamati dall’Alfieri “scamiciati insanguinati”. Arrivato a Firenze, il grande poeta si rifiuterà di accogliere l’ambasciatore francese e gli rimprovererà di aver perso tutta la sua poderosa biblioteca nella fuga da Parigi. Carducci, abbiamo detto, poc’anzi: alfieriano convinto, opterà per proseguire il pensiero del “primo Alfieri” sulla Rivoluzione, poetizzando la truce e poderosa canzone del ça ira, che “celebra” l’ira, appunto, dei Rivoluzionari.
Lieto su i colli di Borgogna splende
E in val di Marna a le vendemmie il sole:
Il riposato suol piccardo attende
L’aratro che l’inviti a nuova prole.
Ma il falcetto su l’uve iroso scende
Come una scure, e par che sangue cóle:
Nel rosso vespro l’arator protende
L’occhio vago a le terre inculte e sole,
Ed il pungolo vibra in su i mugghianti
Quasi che l’asta palleggiasse, e afferra
La stiva urlando: Avanti, Francia, avanti!
Stride l’aratro in solchi aspri: la terra
Fuma: l’aria oscurata è di montanti
Fantasimi che cercano la guerra