Ticinolive è favorevole all’ammodernamento della flotta militare ma pubblica anche le argomentazioni degli avversari. Per i portali, e più in generale per i media, il confronto delle opinioni è fondamentale.

Ieri sera la consigliera federale Viola Amherd (PPD) era al Palacongressi di Lugano. Ha pronunciato un discorso in italiano e ha presenziato a un dibattito tre contro tre: Cattaneo, Romano e Galeazzi per il Sì opposti a Gysin, Storni e Riget (rossoverdi). La sinistra ha usato toni moderati, ha puntato principalmente sulla spesa e non ha detto chiaramente di volere l’abolizione dell’Esercito. Corretta strategia, non era il momento.

* * *

dal portale mps-ti.ch

Sei miliardi per comprarli ed altri diciotto per farli funzionare: è la spesa che governo e parlamento, partiti borghesi e associazioni padronali, Stato maggiore e società patriottiche ci invitano ad accettare il 27 settembre per acquisire una nuova flotta di aerei da combattimento.Memore dello smacco subito nel 2014 dal progetto di acquisto dei Gripen, il Consiglio federale ha, questa volta, posto il dibattito di fondo, quello dell’esistenza dell’esercito. Una sfida che esige una risposta all’altezza della posta in gioco.

Passato Ferragosto, con una Viola Amherd onnipresente nei media, la campagna per la votazione del 27 settembre sugli aerei da combattimento è lanciata.

Quanta pochezza argomentativa!

Sul piano meramente militare gli argomenti della ministra della difesa risultano assai debolucci.

Viola Amherd fotografata ieri al Palazzo dei congressi (foto Ticinolive)

Nel 1993, pochi anni dopo il vero e proprio tsunami che fu il voto di un milione di cittadine e cittadini a favore dell’abolizione dell’esercito, fu la guerra in Yugoslavia che dette legittimità all’acquisto di 33 caccia F/A-18 per la modica somma di tre miliardi di franchi. Fu allora il risorgere delle paure di una guerra in Europa, con il nome evocatore di Sarajevo sulla bocca di tutti, a fare la differenza nelle urne.

Sei anni fa, Ueli Maurer cercò una ragione strategica per legittimare l’acquisizione dei Gripen. Rinnovare la flotta aerea era necessario, disse più volte, per garantire dal cielo la protezione…dell’esercito. L’inanità dell’argomento e le moltissime riserve sull’apparecchio svedese ebbero ragione dei Gripen.

Oggi invece, perora nei media la signora Amherd, è per proteggere la popolazione che gli aerei ci vogliono: siccome nessuno può escludere eventuali ed ipotetici «attacchi terroristici venuti dal cielo» (V. Amherd, Le Temps, 17/08/20), la spesa deve essere fatta.

L’unico esempio su larga scala di attacchi terroristici dal cielo, è quello dell’undici settembre del 2001.

In quel frangente, l’armamento sofisticatissimo dell’Air Force – che dispone di 2500 aerei da combattimento in più dei 700 in dotazione all’US-Navy et al corpo dei marines – non aveva permesso di evitare che i mezzi civili dirottati mietessero vite a migliaia.

In quell’occasione, all’attivo delle forze aeree è molto probabilmente da mettere la fine del quarto velo di linea che, colmo di passeggeri, i dirottatori stavano gettando sulla centrale della CIA, a Langley in Pennsylvania. Il suo crash fu in un primo tempo attribuito all’intervento degli F35 prima di essere poi presentato come la conseguenza di un “tafferuglio a bordo”.

Però, che sia per i primi tre aerei o per il quarto, la dimostrazione è oramai storicamente fatta dell’inadeguatezza dell’aviazione militare per far fronte ad una minaccia terroristica dal cielo: o non si riesce ad intercettarla o si decide freddamente di ammazzare centinaia di passeggeri.

Ciò che ha invece permesso di ridurre il rischio è la prevenzione al suolo, in particolar modo negli aeroporti, grazie alle misure di controllo diventate norma dopo l’11 settembre.

È la ragione per la quale si può legittimamente immaginare che è in termini di attacchi d’altro genere, missilistici, che si potrebbero ipotizzare tali azioni terroristiche dal cielo, attacchi contro i quali i caccia, seppur dell’ultimissima generazione, si rivelerebbero impotenti.

Infatti, ammesso e non concesso che missili di media portata lanciati dalle coste libiche per esempio, o turche, possano raggiungere lo spazio aereo svizzero senza essere intercettati e distrutti dai dispositivi anti-missili delle forze armate italiane o francesi o da quelle della NATO, non è con gli aerei da combattimento che potrebbero essere bloccati.

Cose da pochi minuti…

La Signora Amherd rivendica ed assume anche il supposto impegno internazionale della Svizzera a non lasciare un vuoto nei cieli europei, quello rappresentato dal nostro spazio aereo. Ma chi vuole prendere in giro?

Lanciato a Mach2, cioè a più di 2’450 km orari, un aereo supersonico avrebbe bisogno di meno di cinque minuti e mezzo per attraversare i «nostri» cieli da Basilea a Chiasso e di due minuti di più per volare da Est verso Ovest, cioè da Zernez a Ginevra.

Sembra quindi molto aleaatorio il fatto che dei caccia i cui motori devono essere riscaldati per almeno dieci minuti prima del decollo sarebbero in misura, partendo da Payerne o da Emmen, di intercettare velivoli supersonici che avessero violato lo spazio aereo svizzero.

Quando poi si sa che, dalle diciotto alle sei del mattino seguente, nessun aereo rossocrociato è in volo per non sperperare 40’000 franchi per ora di volo, la spiegazione – a meno di immaginare una costosissima e particolarmente inquinante sorveglianza ventiquattr’ore su ventiquattro – è assai poco convincente.

È la pochezza dell’argomentazione strettamente tecnica e militare che ha spinto la maggioranza del parlamento ed il governo a spostare il dibattito sul piano della fede nella difesa nazionale.

Dalla stratosfera…

Si sarebbe tentati di dire che, come le ipotetiche minacce, il suggerimento di orientare la campagna sul tema della difesa nazionale cada un pochino dal cielo. È infatti del consiglio dell’astronauta vodese Claude Nicollier che Viola Amherd si prevale.

Convinto del fatto che “acquisire un aereo da combattimento resta in Svizzera una sfida d’alto livello” (Le Temps, 25/09/2019), è lui che ha proposto prima di tutto di scindere in due la spesa iniziale prevista: sei miliardi per gli aerei – che il parlamento ha deciso di sottoporre a referendum- e due miliardi per dei sistemi di difesa “aria-suolo” (DSA), intimamente legati al progetto aereo, ma contro i quali il referendum non è stato, per ragioni istituzionali, possibile.

In altri termini, è come se uno, prima di sapere se avrà i soldi necessari per comprarsi una macchina sportiva, decidesse in ogni caso di comprare già le gomme d’inverno per quel modello.

E, di fatto, la separazione delle due spese ha già permesso la seconda, quella sottratta al referendum.

Questa spesa… s’ha da fare

Ma è soprattutto lo stesso Nicollier che, fatto un bilancio degli scrutini precedenti – del 1993 sugli F/A-18 e del 2014 sui Gripen- ha suggerito alla ministra di far ruotare la discussione attorno all’esistenza o meno dell’esercito proprio perché il fatto di circonscrivere il dibattito al tipo di aereo, come nel 2014, predisponeva alla sconfitta, mentre una campagna imperniata sull’esistenza della difesa nazionale aveva, nel 1993, permesso di ribaltare previsioni e sondaggi sfavorevoli all’acquisto degli aerei ’F/A-18.

Ed è proprio in questi termini che il dibattito è posto da tutto l’establishement politico-militare. Privare l’esercito di una copertura aerea appropriata – secondo quali criteri? – sarebbe condannarlo all’inazione e, di fatto, all’estinzione. Quindi, come dovevasi dimostrare, questa spesa… s’ha da fare.

L’accusa di voler abolire l’esercito secondo la tattica del salame, fetta dopo fetta, non è nuova ed ha sempre funzionato in modo da escludere qualsivoglia discussione sull’esercito, foss’anche sulla lunghezza delle stringhe degli scarponi.

Antimilitaristi, noi?

Ed oggi ancora sembra funzionare: basti pensare, ad esempio, che il gruppo parlamentare del partito socialista, che ha iscritto nel suo programma l’abolizione dell’esercito, ha sentito immediatamente il bisogno di difendersi dall’accusa di voler sopprimere la difesa nazionale.

Certo, il dibattito deve prima di tutto essere centrato sull’oggetto in votazione il 27 settembre. Tuttavia è evidente che  il fatto di volere ad ogni costo negare di avere intenzioni poco patriottiche affievolisce non solo l’argomentario sull’oggetto in votazione, ma evita il dibattito fondamentale sulle scelte prioritarie indispensabili per il paese e la sua popolazione.

Quei sei miliardi di franchi per rinnovare la flotta e un budget militare in aumento di 1,4 miliardi annui sarebbero da spendere proprio nel momento in cui le finanze federali si preparano alla fattura del Covid-19, cioè ad almeno venti miliardi di perdite di introiti fiscali nel 2020!

I bisogni dell’esercito o quelli della popolazione?

Ed è proprio a questo livello che scelte chiare si impongono: tra sperperare miliardi per proteggerci da ipotetiche minacce future o investirli per rispondere ai bisogni reali ed immediati della popolazione, in particolar modo per la creazione di posti di lavoro di utilità sociale ed ambientale, l’incentivazione delle possibilità di formazione e ricerca in materia di protezione dell’aria, dell’acqua, delle foreste e così via…

È questo un orientamento politico reso ancor più necessario dalle asserzioni della signora Amherd secondo la quale, se non spesi per gli aerei, quei miliardi resterebbero comunque a disposizione dell’esercito, come se fossero suoi.

È dunque una battaglia all’altezza della sfida che si impone. Perché, più che mai, i bisogni della gente che vive e lavora in questo paese contano più di quelli dell’esercito.

Paolo Gilardi