“Magistratura: emergono le responsabilità del Procuratore generale e dei quattro partiti di governo che dominano le scelte del Gran Consiglio” (titolo originale)

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In simili situazioni conflittuali di portata istituzionale noi privilegiamo sistematicamente le opinioni “alternative” rispetto a quelle del Potere ufficiale. È una nostra libera scelta.

Naturalmente noi non prendiamo in alcun modo posizione sul lungo testo, che appartiene unicamente all’MPS, combattivo movimento di estrema sinistra.

Un ricordo personale. Nell’ottobre 2011 (tempi remoti… ma siam sempre qui) noi intervistammo l’avvocato Tuto Rossi nel suo studio di Bellinzona. Egli era all’epoca candidato al Consiglio nazionale su una lista di cui non so più il nome.

Rossi a un certo punto intervistò me. “Qual è la persona più potente in Isvizzera?” Colto di sorpresa io risposi da sciocco (ma più probabilmente da finto tonto): “il… … il Presidente della Confederazione!” E di lui di rimando: “sbagliato, errore, imperdonabile errore! È… il Procuratore pubblico!”

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manifestazione di protesta MPS

 

MOVIMENTO PER IL SOCIALISMO  Si conoscono solo vagamente (attraverso le solite fughe giornalistiche: che già la dice lunga sulla correttezza di chi siede in seno a quel consesso) le carenze che il consiglio della Magistratura addebita a 5 procuratrici e procuratori uscenti.
Sappiamo invece, di sicuro, che costoro sono stati nominati dai quattro partiti di governo, in base a stretti calcoli di quote di rappresentanza. E non siamo certo sorpresi, visto che così avviene in altri organismi importanti la cui elezione spesso si presta alla mesa in scena di spettacoli deplorevoli (come è stato per la recente elezione del consiglio di amministrazione dell’EOC). Persino il Consiglio della Magistratura è un organismo tutt’altro che indipendente da questa occupazione del potere partitica. Ricordiamo che in quest’organo il seggio del PS (Pau Lessi) è da un paio d’anni sospeso: gratta gratta, alla fine si arriva sempre alla stessa composizione partitica.

In attesa di sapere quali siano le ragioni dettagliate di questa raccomandazione (di fatto un vero e proprio licenziamento) vale comunque la pena di fare qualche considerazione.

La prima è che, di solito, quando in una struttura fortemente gerarchizzata (come è il ministero pubblico) non funziona, ad essere chiamati in causa non possono e non devono essere solo coloro che, pare, non compiano in modo adeguato il proprio lavoro; ma, in primis, coloro che dovrebbero verificare, in modo sistematico e con cognizione di causa, che il lavoro venga svolto.

E a questo punto non può non entrare in discussione il ruolo del procuratore generale Andrea Pagani. Il quale (dalle prime dichiarazioni filtrate) sembrerebbe non essere stato all’origine di questa decisione. Non sarebbe stato un suo intervento ad aver attirato l’attenzione e suscitato la proposta estrema del consiglio della Magistratura. Dobbiamo quindi concludere che, ai suoi occhi, il lavoro svolto da questi magistrati non sembrerebbe essere oggetto particolare di riprovazione.

Se le cose stessero così, e allo stato attuale noi non possiamo che pensare questo (anche perché i nostri deputati e alle nostre deputate non avranno modo di vedere tutto l’incarto trasmesso alla commissione giustizia: la cui amministrazione, dalle nomine a questi episodi, resta “cosa nostra” dei maggiori partiti), il primo a dover essere oggetto di una severa valutazione è proprio il procuratore generale Pagani.

Nel recente passato abbiamo attirato a più riprese l’attenzione sulla sua ritrosia a procedere con decisione quando di mezzo vi era il potere nelle sue varie manifestazioni: da quello politico a quello economico. Così, sotto la direzione di “mister non luogo a procedere” sono state archiviate brillantemente (si fa per dire) le questioni legate alle varie ed indebite indennità percepite dai membri del Consiglio di Stato; è, tuttavia, stata dimenticata – visto che la segnalazione è lì da ormai due anni – la questione delle ridicole somme di riscatto degli anni di servizio con le quali diversi consiglieri di Stato – in pensione e in attività – hanno avuto ed avranno – con pochi spiccioli- la possibilità di rimpolpare i loro vitalizi. Ma noi non l’abbiamo dimenticata e, magari, faremo una segnalazione al Consiglio della magistratura…

Potremmo proseguire in questa lista nella quale, molto spesso gli interventi della magistratura all’epoca del nostro procuratore Trevalbeton , spicca l’inazione in materia di perseguimento dei reati penali che caratterizzano il mondo del lavoro, in particolare i reati di usura e di coazione, un fenomeno in forte crescita ma che per un effetto inversamente proporzionale perde d’importanza una volta che varca le porte di via Pretorio. La stessa colpevole passività si registra – come già ampiamente documentato – in materia di reati fallimentari con risvolti penali, le cui ripercussioni finanziarie, economiche e sociali non sembrano tangere minimamente la maggior parte dei procuratori pubblici…

In conclusione: che si metta pure in discussione la non rielezione di questi magistrati; ma certo, non si può ignorare che in discussione andrebbe messo, prima di tutti, il Procuratore Generale. Ma, ci chiediamo, come si fa a non accorgersi che un quarto dei propri subalterni non svolgerebbe in maniera adeguata il proprio lavoro? Qualcuno che non si rende conto di una cosa del genere, può essere ancora considerato degno di fiducia?

Detto questo vi è un altro aspetto che dovrebbe essere preliminarmente chiarito nella vicenda dei cinque procuratori di fatto destituendi. E pensiamo ai criteri sui quali il Consiglio della Magistratura ha motivato la propria proposta.

Anche qui non sappiamo ancora nulla di preciso; possiamo tuttavia ipotizzare (anche qui alcuni commenti filtrati sulla stampa inducono a riflettere in questa direzione) che si tratta di criteri quantitativi, legati alla efficacia e alla “redditività” del lavoro svolto. D’altronde, se così non fosse e si facesse riferimento a criteri di tipo qualitativo – concernente preparazione e formazione dei magistrati – le responsabilità ricadrebbero comunque ancora una volta sulla procura generale sotto la cui egida tutte le decisioni vengono prese.

Se i criteri, come si può arguire, riguardano gli aspetti di efficienza e redditività, allora è necessaria la massima prudenza poiché l’attività di un magistrato non può e non deve essere misurata con criteri di efficienza economica, con criteri di economia di scale, etc.
In attesa di sapere come stanno le cose, val la pena sottolineare come questo parere del Consiglio della Magistratura chiami in causa da un lato le responsabilità del Procuratore Generale (ancora una volta!) e poi dei quattro partiti di governo che dominano le scelte del Gran Consiglio.

Infatti alla base di un eventuale malfunzionamento potrebbero esserci anche scelte organizzative: e, come noto, è (o dovrebbe essere) proprio il Procuratore generale il cuore pensante della organizzazione del ministero pubblico, dell’attribuzione di compiti, carichi di lavoro, responsabilità, etc.

Oppure, ed è qui la responsabilità dei quattro partiti maggiori, si ripropone il problema di un sovraccarico di lavoro che, verosimilmente, pesa su alcuni magistrati più di altri. Non si può certo non aver notato come quel fine conoscitore del diritto che è Norma Gobbi (ce ne ha dato una dimostrazione ancora negli scorsi giorni esternando il rapporto tra dolori intestinali e applicazione del diritto!) gongoli di fronte a questa situazione che gli permette di affrontare il problema del sovraccarico della magistratura all’insegna del, per riassumere il suo pensiero: non è necessario potenziare le strutture e il personale, basta che quelli attuali lavorino di più!

Da questa nostra disanima (e al di là delle precisazioni che potrebbero emergere) appaiono per noi evidenti le responsabilità del governo, dei partiti che ne fanno parte e delle istanze direttive del Ministero pubblico: il tutto spinto in questa direzione da un sistema di organizzazione e governo della magistratura pesantemente condizionato dal potere politico.

Per carità: la cosa non ci sorprende più di quel tanto. La nostra impostazione politica di fondo ci dice che la magistratura, l’elezione dei giudici e lo stesso diritto non sono che il riflesso di rapporti di forze e di potere; rapporti di dominazione chiari nel mondo capitalistico e in un paese che ne è una perfetta illustrazione come la Svizzera (notiamo, di transenna, che problemi in parte diversi ma con la stessa radice emergono con prepotenza in questi ultimi tempi attorno alla gestione del Tribunale federale e del Ministero pubblico della Confederazione).

Tuttavia, anche per dare ai cittadini e alle cittadine, la parvenza di un ordine giudiziario dal quale ci si possa comunque aspettare qualche forma di giustizia, sarebbe auspicabile riflettere a forme di autogoverno della magistratura; le quali, se non garantiscono comunque una totale indipendenza dalle esigenze del potere politico, permettono perlomeno qualche forma di resistenza.