Yasukuni Jinja a Tokyo (letteralmente santuario della pace nazionale) è un tempio shintoista. È dedicato alle anime dei soldati ed altre persone che morirono combattendo al servizio dell’Imperatore. A ottobre del 2004 il libro delle “Anime” conteneva la lista di 2.4 milioni di uomini e donne, inclusi oltre 27 mila taiwanesi aborigeni e 21 mila coreani.

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Nella maggioranza si tratta di caduti che servirono l’Impero del Sol Levante, perlopiù durante il secondo conflitto mondiale. Di recente, tre giorni dopo le sue dimissioni da Premier, Shinzo Abe ha fatto visita al tempio causando forti proteste nei paesi vicini (Cina, Corea del Sud), persino dalla Corea del Nord: anche lei nel suo isolamento, sempre attenta a quello che succede intorno a sé, senza perdere un’occasione di propaganda.

La visita dei giorni scorsi, l’ultima di Abe nel 2013, è stata vista come “simbolo del  passato militarismo perché onora dichiarati criminali di guerra insieme ai milioni di altri caduti”.

La KCNA (Korean Central News Agency) ha scritto:  “ha continuato (Abe) ad incitare l’ultrà nazionalismo nella società giapponese:  i giapponesi subiranno una fine miserabile se continueranno con il militarismo, dimenticando la lezione”.

Questo “leitmotiv” continua ormai da un’eternità anche se noi stranieri, non profondi nella storia e cultura giapponese, ci domandiamo  il perché di queste reazioni. In fondo si tratta di una preghiera ad un tempio….

Io ho abitato per anni molto vicino a Yasukuni che ho visitato parecchie volte, incluso il museo annesso al parco per osservare mostre di Ikebana. Non ho mai avvertito un turbamento spirituale o  avuto cattive impressioni.

Ma allora perché queste violente reazioni e prese di posizione?

La risposta è più semplice del previsto: nel famoso “Libro delle Anime” – presso il tempio –  sono iscritte anche 1068 persone che furono condannate, non solo dalla versione giapponese del “tribunale di Norimberga”, per crimini  di guerra; oltre a queste vittime, ci sono 14 condannati di “Classe A”, ossia per crimini contro la pace.

Si comprende quindi perché  coreani e cinesi siano contrari alle commemorazioni dei politici giapponesi. Paesi come le due Coree subirono la durissima occupazione nipponica dal 1910 al 1945 (ricordando anche il dramma delle “comfort women” , le schiave del sesso per i militari giapponesi) e la Cina per la lunga e drammatica invasione giapponese con i drammatici eventi come l’eccidio di Nanchino.

Abe tra l’altro, aveva un nonno, Nobusuke Kishi, che fu incriminato come criminale di “Classe A”, salvato poi dagli “Alleati” e divenuto in seguito addirittura Primo Ministro.

La proposta dei “vicini di casa” è “togliete dal Libro delle Anime i criminali e poi pregate pure per gli altri morti : ma no ai criminali”.

Due parole su Yasukuni: innanzitutto è un “jinja“,  un tempio  shintoista. Il shintoismo è la religione originaria, culto degli avi, del Giappone: preesistente al buddismo e confucianesimo che entrarono nella cultura nipponica dalla Cina, via Corea, verso la fine del secondo secolo A.D.

Fosco Maraini ben descrive il culto degli antenati e dei “kami” (spiriti) in uno dei suo scritti.

Il tempio, fondato da un imperatore nel 19mo secolo per commemorare le vittime di conflitti, ha sempre assolto la funzione di memoriale per i caduti. Le controversie sono iniziate solo nel dopoguerra della seconda guerra mondiale.

Nel 1988 l’Imperatore Showa (Hirohito) espresse il suo disappunto per l’inclusione nel “Libro delle Anime” dei criminali e capi del fascismo/ militarismo a Yasukuni e non ha mai visitato il tempio dimostrando il suo buonsenso, ma l’estrema destra nipponica si batte per lo status quo.

Yasukuni, nel cui ingresso domina un enorme “tori” simbolo dell’entrata ad un tempio, è luogo sereno. Un bel parco: si vedono andare e venire i “kannushi” (letteralmente tradotto “dipendente da Dio”) ovvero i responsabili per il mantenimento di un tempio shintoista.  Sono elegantissimi nel vestiario  ancestrale e nell’incedere e vendono oggetti di venerazione, porta fortuna. Soprattutto celebrano cerimonie a gruppi di giapponesi in visita al luogo sacro.

Cerimonie belle da vedere anche se difficili da capire. Senza emozioni. Aleggia di fronte al tempio un’aria di serenità e tranquillità. Forse noi occidentali non riusciamo a percepire e cogliere il significato profondo del tempio come invece avviene per i visitatori locali, mentre ci è chiaro di cosa si lamentino all’estero.

Per  chi ha conosciuto i drammi ed i misfatti delle guerre giapponesi, verosimilmente non è facile dimenticare.

Vittorio Volpi