Dell’iniziativa dei Giovani UDC parleremo nei prossimi giorni (abbiamo ricevuto il materiale solo oggi).

Il professor Camponovo del Movimento della Scuola replica con la presente lettera alle “Scuole libere” dell’UDC. Premetto al testo un breve commento.

— Tra la rinuncia a un’assoluta “neutralità” e il fare propaganda politica a scuola ce ne corre. Vorrei sondare la reazione del professor Camponovo di fronte alla (ipotetica) situazione seguente. Un docente propone ai suoi alunni una ricerca sul tema: “i migranti illegali minacciano la stabilità sociale del nostro paese?”. Che cosa farebbe? Probabilmente si metterebbe a urlare e spaccherebbe tutto.

— Poiché si inquietano a causa di una possibile “propaganda tendenziosa di sinistra” in classe i Giovani UDC vengono definiti “ingenui”. Secondo me il motivo per cui scrivono questo è fin troppo evidente… e non sembrano (a me) particolarmente ingenui. 

— Aggiungo a beneficio dei Giovani UDC – che hanno il meraviglioso dono della giovinezza – l’invito a  non fissarsi troppo su Bertoli (che citano a varie riprese). Lui è il primo direttore socialista del DECS.

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foto Pixabay

La stampa ticinese ha dato spazio, la settimana scorsa, a un paio di notizie riguardanti la scuola e la cosiddetta neutralità dell’insegnamento. In effetti i giovani politici UDC hanno recentemente lanciato un’iniziativa dal nome accattivante “Scuole libere”, ritenendo che la scuola ticinese vada “liberata” appunto da una “propaganda tendenziosa di sinistra”. Il primo effetto visibile è stato quello di un’immediata reazione dei giovani comunisti, i quali – sagacemente – hanno a loro volta invitato gli studenti a segnalare prontamente quei docenti che promovessero nell’ombra un pensiero liberista e destrorso.

L’iniziativa dei giovani UDC – e la controreplica dei giovani comunisti – potrebbero essere accolte con un sorriso, in quanto ascrivibili, queste sì, più a moti propagandistici che non a reali intenzioni riflessive (ne è chiaro indice l’ingenuità del comunicato UDC che chiede non la denuncia di ogni propaganda bensì solo di quella “tendenziosa di sinistra”).

Ciò detto, mi sembra però che questa campagna (particolarmente riprovevole nell’invito alla denuncia anonima degli insegnanti) possa farci riflettere su almeno tre questioni.

La prima. La scuola non è, per usare un termine oggi di moda, una bolla; non è un ambiente asettico, isolato, chiuso. Non lo è per i virus, figuriamoci per le ideologie. La scuola è essa stessa, in senso lato, frutto di ideologia: nella sua impostazione formativa, nella definizione del suo statuto educativo, nel suo impegno civile. Per fortuna non è affatto “neutra”, visto che se vogliamo educare i giovani alla vita e costruire in loro un senso di responsabilità critica (educando per esempio “al rispetto dell’ambiente, alla pace, agli ideali democratici”, come dice la nostra Legge sulla Scuola), ci si deve necessariamente sporcare le mani e uscire da un neutralismo asettico. Di fatto la scuola non è mai pura istruzione bensì educazione in un tempo e in una società storicamente dati.

La seconda (che ne consegue direttamente). Un maestro è tale se, consapevole del suo ruolo nella relazione educativa, assume pienamente una responsabilità etica, culturale, scientifica e civile. In altre parole, maestro è chi sa educare al dubbio riflessivo, alla sete di conoscenza, all’interrogazione conoscitiva. Questo in ogni materia, non certo solo durante l’insegnamento della storia o della civica o della filosofia. È un principio deontologico irrinunciabile, un tratto costitutivo della professionalità dell’insegnante.

La terza (allargando l’orizzonte riflessivo). Siamo confrontati da qualche tempo con la percezione della scuola come azienda di servizi (e non come istituzione): un’azienda formativa che deve soddisfare gli appetiti dell’utente-cliente. Ogni cittadino, indipendentemente dalla sua competenza in materia si sente legittimato a chiedere, a protestare, a rivendicare. Eppure la vigilanza sull’insegnamento è già esercitata da figure istituzionalmente deputate: esistono degli “esperti”, degli ispettori, dei direttori che hanno fra i loro compiti anche questo. Uno studente che si sentisse, per un motivo qualsiasi, vittima di indottrinamento può tranquillamente rivolgersi dapprima al suo docente di classe, poi al direttore e così via. Ne ha pienamente diritto!

Davvero è un brutto segnale quello di incitare alla delazione anonima, creando un clima di sospetto e di rivalsa che non ha motivo di esistere.

Per il Movimento della Scuola
Fabio Camponovo