Intervista ad Alex Farinelli, consigliere nazionale PLR

Il 29 novembre Ticinolive (che non ha peso) voterà No come Farinelli, Regazzi e Romano (partecipanti alla conferenza stampa), e poi Chiesa, Marchesi, Cattaneo e Quadri.

È una votazione difficile, perché l’empatia è tutta a vantaggio di una parte sola. Gli iniziativisti hanno montato una magistrale campagna propagandistica e dispongono di larghi mezzi. La gente si lascia facilmente suggestionare e pensa: ecco i cattivi, puniamoli! Ciò che costituisce sempre una bella soddisfazione.

Alex Farinelli è una delle personalità emergenti del PLR ed è sempre un piacere intervistarlo.

Un’intervista di Francesco De Maria

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Francesco De Maria  Lei è impegnato in una difficile battaglia. Chi la combatte con lei (partiti e uomini)?

Alex Farinelli  Innanzitutto il Consiglio federale, la maggioranza del Consiglio Nazionale e la maggioranza del Consiglio degli Stati. Tutte persone che hanno a cuore sicuramente il rispetto dei diritti fondamentali garantiti dalla nostra costituzione, consapevoli che in politica vanno ponderati i vari interessi in gioco e che non si può ragionare in maniera semplicistica dividendo il mondo tra cattivi (quelli dall’altra parte) e buoni (chi difende una causa).

Le prospettive (primi sondaggi) sono inquietanti. Quale le migliori carte in mano ai sostenitori del No?

Semplicemente quella di spiegare chiaramente cosa andiamo a votare. Nessuno mette in discussione i diritti dell’uomo o il rispetto dell’ambiente, qui però si va a costruire un sistema punitivo in cui le aziende svizzere potranno essere ritenute responsabili anche per colpe non imputabili a loro ma semplicemente a loro fornitori. Un sistema che nessun altro Stato al mondo conosce in questa forma. Questo è particolarmente significativo.

“No! Non così!” è il vostro slogan. Ma allora, come?

Ad esempio adottando il controprogetto che garantisce maggior controllo e trasparenza in questo campo. Non è andando a penalizzare fortemente le aziende svizzere che si andranno ad aiutare i paesi dove i diritti umani sono rispettati solo parzialmente, anzi il rischio è quello che a fronte di aziende svizzere che si ritireranno da alcuni paesi vi subentreranno delle altre realtà ben meno rispettose dei diritti umani.

Ieri nel Corriere c’era un articolo del presidente PPD Fiorenzo Dadò. Lo ha letto?

L’ho letto, è un’opinione ovviamente legittima ma che però a mio parere sottovaluta l’impatto che questa iniziativa può avere sul tessuto delle piccole e medie imprese in Svizzera. Non parliamo solo di alcune decine di aziende toccate ma di un potenziale mille volte superiore.

Analizziamo la campagna elettorale sul piano psicologico dell’empatia. Bisogna ammettere che il vantaggio degli iniziativisti è grande. I fautori del No sono gente senza cuore?

No, al contrario, molti fautori del no sono anche persone impegnate a livello di aiuto internazionale e sensibili alle tematiche ambientali come la collega in Consiglio Nazionale per i verdi liberali Isabelle Chevalley che è strenuamente contraria. Mettere in difficoltà le imprese svizzere vuol dire lasciare spazio ad altre realtà, solitamente provenienti da paesi che non adottano i nostri standard, e che quindi in conclusione si andrebbe a peggiorare la situazione proprio di chi si vuole aiutare.

Le multinazionali – che, anche in Svizzera, contribuiscono al benessere della società e dello Stato versando ingenti somme e fornendo decine di migliaia di posti di lavoro – non sono simpatiche a nessuno e sono facilmente demonizzabili. L’iniziativa le mette in riga? È diretta essenzialmente contro di loro?

Ho ricevuto qualche giorno fa un volantino degli iniziativisti dove si citavano alcuni, presunti, casi (metto la forma dubitativa perché è già stato dimostrato che in questa campagna non si è lesinato a ricorrere a verità “alternative”, ad esempio inscenando del lavoro minorile fasullo in un campo di cotone). Si parla sempre di Glencore e Syngenta, non dico che queste aziende abbiano fatto tutto bene, ma mettere nel mirino decine di migliaia di piccole e medie imprese per colpire un paio di multinazionali è sbagliato.

Le grandi imprese – svizzere o in Svizzera – potranno subire delle perdite, in termini di quote di mercato e occupazione?

Certamente, perché si troveranno a dover gestire costantemente il rischio di poter essere messe sotto accusa per danni che non hanno causato loro ma magari uno dei loro fornitori. In questo senso è chiaro che per gestire questi rischi dovranno investire risorse, rispettivamente prendere decisioni come ad esempio quella di ritirarsi da determinati paesi o rispettivamente spostarsi dalla Svizzera in quanto come detto nessun paese al mondo conosce oggi una regolamentazione così penalizzante come quella che viene proposta da questa iniziativa.

Quali cause le forze politiche interessate e gli avvocati potranno innescare? Mi faccia un esempio.

Le organizzazioni non governative avrebbero gioco facile nel prendere di mira le imprese svizzere che sono ben conosciute e hanno un’ottima reputazione. Già solo sollevare il dubbio, con tutto quanto ne deriverebbe, darebbe loro una gran pubblicità. Non dimentichiamoci che poi aziende concorrenti di altri paesi potrebbero utilizzare questo strumento in maniera tutt’altro che disinteressata …

La media-piccola impresa non sarà minimamente toccata da questa nuova legge? La maggior parte degli operatori può dormire sonni tranquilli?

Questa è una bugia che gli iniziativisi utilizzano per far credere che questa iniziativa tocca solo una manciata di aziende. La realtà è un’altra, infatti, l’iniziativa si riferisce alle imprese in quanto tali. La consigliera federale Keller – Sutter nella conferenza stampa ha spiegato come in Svizzera oltre 70’000 imprese (che rappresentano circa 600’000 posti di lavoro) sono interessate in maniera più o meno importante. Nessuno ha potuto contestare questo numero.

Se l’iniziativa passa, la Svizzera si ritroverà (finalmente) allineata con gli stati più progressisti del mondo?

Assolutamente no, al contrario supererà tutti gli Stati e di parecchio andando a penalizzare le proprie imprese creando una grande incertezza in quanto molti concetti andranno poi man mano definiti davanti ai tribunali. Il controprogetto al contrario ci allineerebbe praticamente a quello che già oggi succede negli Stati a noi vicini.

Per finire, le faccio una domanda su un uomo politico importante, che è stato mio compagno di classe: Dick Marty. Nel 1989, allorché Claudio Generali passò alla presidenza della Banca del Gottardo, egli entrò in governo, designato dal Partito. Nel 1995 fu eletto al Consiglio degli Stati, dove rimase per 16 anni. Un PLR di primo piano, si può ben dire. Oggi Dick, instancabile, è la punta di diamante dello schieramento del Sì. Che cosa mi dice di lui, che ha molti più anni di lei (ma non di me)?

Dick Marty è sicuramente una persona capace e con una forte spinta ideale, qualità sicuramente pregevole stando però attenti a non cadere nella trappola di ritenersi indiscutibilmente sempre dalla parte della ragione. Nella sua brillante carriera ha mostrato di non aver mai veramente smesso i panni del procuratore pubblico, infatti anche a livello politico è ricordato piuttosto per le sue indagini internazionali che non per l’impegno su altre problematiche come potrebbero essere la previdenza o i costi della salute.

Esclusiva di Ticinolive