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Lo scrive la corrispondente del Financial Times di Hong Kong , Nicolle Liu nel rispondere alle domande su come ci si senta ad Hong Kong dopo che la Cina ha introdotto una sua legge sulla sicurezza nazionale in contrasto con gli accordi stipulati nel 1997 con la Gran Bretagna per il ritorno della ex colonia alla Cina. Per la Liu c’è un “new normal”, il nuovo normale, che è la paura di cosa ti possa succedere se manifesti dissenso verso il Partito-Stato cinese.

La nuova legge stabilisce che un cittadino è penalmente perseguibile per i reati di secessione, sovversione, terrorismo o collusione con forze straniere.

In base alle nuove leggi, almeno 10mila cittadini sono stati arrestati (fonte Financial Times) per crimini compresi fra sommosse, assalti, incendi. È stato anche stabilito ad Hong Kong un sistema di delazione che incita a denunciare chi rientrerebbe nella categoria dei previsti crimini, come si faceva, inter alia, anche nella Repubblica di Venezia. Per non parlare degli altri innumerevoli esempi che la storia ci ricorda.

A Pechino probabilmente stimano che il problema di Hong Kong sia quasi risolto. Viste le nuove misure e tenuto conto del supporto dei residenti pro-Cina, non da ultimo, il big business che non ama il clima da rivolta che si era creato, è ora molto difficile dimostrare e fare manifestazioni.

I nuovi deterrenti – sembrano pensare a Pechino – funzionano ed eviteranno quello che pochi mesi fa sembrava inevitabile, ovvero far entrare l’esercito cinese (PLA) per sedare le dimostrazioni.

Quindi Hong Kong va verso capitolo chiuso?

Non è così stando a quanto riporta un importante esperto di politica cinese, Francesco Sisci, secondo il quale la Cina si è incartata perché ha giudicato giusto sedare e non intervenire, ma non riesce a trovare una strategia per spiegare all’opinione pubblica mondiale in modo convincente il suo operato. E quindi, sostiene l’analista, la sua immagine ne soffre.

Nicolle Liu scrive anche che la domanda (andarsene o rimanere) è ricorrente fra parenti ed amici e per parecchi la conclusione è che “non vogliamo che i nostri figli siano sottoposti al lavaggio del cervello dell’educazione patriottica. Non vogliamo sentire i nostri figli dirci un giorno che la democrazia crea solo confusione…” e quindi se ne vanno.

Se anche alcuni business lasciano o decideranno di lasciare Hong Kong, (il Regno Unito ha offerto asilo a quelli che abitano nella ex-colonia da prima del 1997) Pechino ha già dimostrato che ormai ci sono in Cina piazze finanziarie con simile potenziale (vedere IPO di “Ant” anche se abortita).

Ma il mondo non è solo economia. Molti residenti che hanno vissuto ad Hong Kong del laissez faire e della democrazia, non rinunceranno a tenere viva la fiaccola della libertà, anche se ad alto rischio.

Un esempio ci i viene dal giovane attivista democratico Joshua Wong che è di nuovo in carcere con altri compagni. Insieme hanno deciso di dichiararsi colpevoli di fronte ai capi d’accusa che sono stati loro contestati a fronte delle manifestazioni del 2019 per assembramento illegale, attacco ad una centrale di polizia, mascherine indossate illegalmente durante le proteste pubbliche.

Wong e compagni rischiano anni di carcere – almeno cinque – ed hanno deciso di attendere le sentenze in prigione (previste per il 2 dicembre) dichiarandosi “colpevoli”. Sanno di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale e degli amici democratici all’estero sul dramma di Hong Kong.

Vogliono continuare ad inneggiare alla libertà, un valore che non conosce confini o culture. La dichiarazione è molto chiara e coraggiosa: “non ci inchiniamo a Pechino, il carcere non fermerà il nostro pensiero critico”. Ci riporta alla mente il dantesco “libertà va cercando che è sì cara ….” Un gesto coraggioso che è in linea con quanto scrive Nicolle Liu.

Interessante il giudizio di Sisci, il quale sostiene che Pechino si è fatto mettere nell’angolo.” Se vengono assolti, Pechino perde di credibilità. Se vengono condannati, ne fa dei martiri”
Alla domanda alla Liu: “sei preoccupata per quello che scrivi?” risponde: “non è possibile ignorare oltre il pericolo. Mi preparo al peggio, ma faccio finta che tutto sia normale”.

Vittorio Volpi