Minaccia al livello dei salari, minaccia di potenziamento della libera circolazione con enorme aggravio sul nostro stato sociale, divieto di aiuti statali: questi punti dolenti del sempre incombente Accordo quadro sono noti ormai a tutti.

Ma c’è la iattura più grave: l’irrimediabile perdita di sovranità di fronte alla Corte di giustizia europea, giudice ovviamente non imparziale. L’Avvocato sulla faccenda ha le idee molto chiare e noi non possiamo che concordare con lui, anche se ci stupiamo del suo ottimismo.

Lo scenario, salvo miracoli, è chiaro. Svizzera e UE dopo adeguato tira-molla concordano un testo; le Camere approvano e la Destra fa referendum. Già.

Avvocato, quella votazione la possiamo anche perdere!

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Parliamo delle negoziazioni con l’UE relative all’Accordo istituzionale per le quali non possiamo certo felicitarci con il nostro Governo. Giusto riconoscere le attenuanti: l’inizio infelice della trattativa con l’altrettanto infelice ministro degli Esteri Burkhalter ed il suo braccio destro Yves Rossier, spedito in velocità a fare l’ambasciatore a Mosca affinché non potesse più far danni negoziando con Bruxelles. Sua e non dei rappresentanti dell’UE l’improvvida idea di affidare un ruolo alla Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) nel caso di dissenso tra le parti.

Ma veniamo agli ultimi passi. L’ambasciatore Balzaretti, delegato dal Consiglio federale per le trattative, è tornato nel dicembre 2018 con un testo da lui definito il migliore possibile e che suggeriva di accettare e firmare. Ha compiuto l’errore, pare senza autorizzazione, di mettersi a fare campagna in Svizzera a favore del testo, quasi lo stesso fosse in votazione nel Paese. Il consigliere federale Cassis, più prudente e fiutando l’aria, ha pensato bene (e ha fatto bene) di sottoporre il progetto proposto e che aveva l’adesione dell’UE a rappresentanti delle attività economiche, del mondo del lavoro e della società civile. La reazione è stata molto negativa, specie riguardo la protezione dei salari, l’ampliamento della libera circolazione con conseguenti diritti alla socialità, come pure per i divieti di aiuti statali, che impensieriscono molti Cantoni. Altri punti fondamentali dell’Accordo hanno suscitato perplessità e reazioni negative. Conclusione: bocciatura del testo negoziato. Il Consiglio federale – molto diviso al suo interno e con molta probabilità in maggioranza contrario al progetto di Accordo – è tornato a Bruxelles informando che il testo, che l’Unione credeva sostanzialmente parafato, andava migliorato e chiarito a proposito dei tre punti. Imperdonabile errore tattico, perché così facendo, come ha spiegato Paul Widmer, già ambasciatore svizzero all’OSCE, ha escluso la possibilità di ridiscutere gli altri punti di criticità emersi.

foto Ticinolive

L’UE che non è una democrazia come la nostra e dove il potere della burocrazia è notevole si è, a mio modo di vedere comprensibilmente, incavolata. Ha addirittura pensato ad un escamotage dei soliti svizzeri volto ad ottenere qualche vantaggio. Ha reagito in modo seccato, ma ciononostante dovrebbe ora farci sapere se cede su qualche punto e le diplomazie sono al lavoro per trovare formule che permettano di salvare la faccia. Però diciamoci la verità: il Consiglio federale, ripetendo gli errori del passato, sta trattando ancora una volta non dicendo tutta la verità. Non può ignorare che in vasti strati della popolazione, e non più solo nei ranghi dell’UDC, è aumentata notevolmente la perplessità relativa alla perdita di sovranità, all’influenza determinante della Corte di giustizia dell’Unione europea nella procedura arbitrale e per l’inaccettabilità della clausola ghigliottina. Come fare per tener conto di quello che verosimilmente la maggioranza dell’opinione pubblica svizzera pensa, senza però urtare in modo eccessivo la sensibilità dell’UE, e nel contempo salvare la faccia? La soluzione più semplice e diretta sarebbe quella di dire all’Unione: ci spiace, ma l’accordo negoziato non va, non troverà l’adesione delle cittadine e dei cittadini svizzeri, dobbiamo sederci al tavolo e trovare altre soluzioni. Figuraccia per il Consiglio federale nei confronti di Bruxelles con la quale ci si è troppo esposti e comprensibile imbufalirsi dell’UE.

La scappatoia potrebbe consistere in un atteggiamento molto fermo sui tre punti rimessi in discussione con una negoziazione dura e inflessibile, tale da obbligare l’Unione europea a dirci di no; in caso contrario siamo nuovamente nei guai. Se la tattica funzionasse, con seguente irritazione dell’UE, sicuramente ci sarebbe qualche misura di pura ripicca, che potrà costarci qualcosa, ma eviteremmo il peggio. Il tempo stempera le irritazioni e intanto gli Accordi bilaterali, ai quali anche l’Unione europea è interessata, restano in vigore.

Purtroppo altra sarà la conclusione. Il Consiglio federale si accontenterà di qualche modifica di facciata (le diplomazie hanno adottato un nuovo termine definendole «immunizzazioni», che sa tanto di rimedio ad una infezione) e cederà alla fretta di Bruxelles che vuole chiudere entro dicembre, cioè prima della conclusione della Brexit. Non entro in discussione con chi altezzosamente dice che noi non siamo l’Inghilterra, che l’Unione europea mai ci concederà quanto concede con la Brexit e così via. Sarà, ma la fretta dell’UE non è sospetta? Che male ci sarebbe ad aspettare qualche settimana, dopo lustri di trattative, per conoscere il preciso risultato delle negoziazioni con il Regno Unito? Non ci vogliono doti profetiche per ipotizzare che ci troveremo con un progetto di accordo con qualche cerotto ma simile a quello che hanno già tentato di venderci e che ha suscitato importanti reazioni negative. Se le mie facili previsioni sono esatte, per evitare una pericolosa lacerante spaccatura nel Paese non vi è altro che lasciare al voto del popolo la decisione finale. Forse è la soluzione più gradita anche alla maggioranza del Consiglio federale che potrà giustificarsi con Bruxelles dicendo: questa è la democrazia.

Tito Tettamanti

Pubblicato sul CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata