Nelle colline del Canton Neuchâtel ci sono foreste meravigliose, dove essenze locali di tutte le dimensioni e di tutte le età si mescolano, la rigenerazione è naturale e permanente, la foresta produce un volume ottimale di legno di qualità in modo sostenibile e ininterrotto e l’investimento nella cura è limitato. È la celebre Forêt jardinée o foresta giardinata (detta anche disetanea).

La politica forestale federale, in armonia con il concetto della selvicoltura naturalistica, auspica, a livello nazionale, un sensibile aumento delle riserve forestali (cioè delle superfici dove non vi è alcun intervento umano) e ha lanciato un vasto programma a favore della biodiversità nel bosco con l’obiettivo di permettere il suo sviluppo naturale, colmare l’importante deficit di legno vecchio e legno morto e salvaguardare la diversità genetica.

Lugano si è di recente dotata di un piano di indirizzo forestale e di un credito di 5 milioni di franchi per gli interventi. A una prima lettura, il piano forestale dà l’impressione che Lugano voglia occuparsi delle proprie foreste secondo un approccio contemporaneo che favorisce le funzioni del bosco: la protezione, lo svago, la produzione, la conservazione e la promozione della biodiversità. In questo senso gli interventi di recupero delle selve castanili, la valorizzazione dei biotopi inventariati, l’istituzione di riserve forestali, gli interventi a favore di specie prioritarie o i recuperi paesaggistici sono senz’altro benvenuti. Ma a una lettura più attenta, il piano comunale sembra avere tutti i presupposti affinché alcuni errori di gestione delle nostre foreste si perpetuino nel tempo. Come ben espresso da Roberto Buffi – ingegnere forestale e dottore dell’ETH – durante la presentazione pubblica del Piano Forestale comunale: “questa gestione forestale ripete moduli oggi superati, che potranno portare a interventi eccessivamente massicci”. Questo, in parte, può anche essere conseguenza delle importanti sovvenzioni da Berna, che arrivano fino all’80% del costo totale degli interventi. Il progetto municipale, infatti, veicola l’idea erronea e superata che il bosco va assolutamente gestito attivamente (si parla addirittura del 75% della superficie) e che l’interruzione dello sfruttamento, negli ultimi 50 anni, sia stato negativo e abbia portato solo effetti nefasti.

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Con queste premesse, il nuovo piano forestale comunale darà il via a interventi di esbosco troppo incisivi – negli ultimi anni ne abbiamo visti diversi, ad esempio nella zona del monte Boglia o in alta Val Colla – con tagli pressoché rasi, l’asportazione del 90% dei tronchi e il mantenimento di individui quasi identici tra di loro per composizione specifica e struttura demografica. Questi interventi lasciano grosse cicatrici nel paesaggio, ma il vero problema è che si tratta di occasioni mancate di realizzare una selvicoltura naturalistica, che porti il bosco in uno stato di equilibrio tale da consentirgli di fornire i benefici massimi, non solo dal punto di vista economico, anche dal punto di vista delle altre funzioni del bosco.

Gli interventi che si osservano oggi, non solo impediscono l’evoluzione verso un maggiore equilibrio, ma non portano neppure a una maggior sicurezza: al contrario, accrescono i rischi, come l’erosione del suolo o la colonizzazione da parte di piante alloctone invasive. Sono interventi che portano alla necessità di perpetuare gli interventi. In altre parole: creano la necessità di nuovamente attingere alle casse dello Stato tra qualche decennio. Tant’è che il Municipio già ora ammette la necessità di interventi post-gestione per ridurre la pressione da parte delle specie invasive, che sono proprio quelle ampiamente favorite da interventi troppo massicci.

Una città come Lugano, che è orgogliosa di poter annoverare nella superficie verde ben 46 km2 di bosco, potrebbe prendersi il tempo per capire meglio quegli ecosistemi complessi e meravigliosi che sono le foreste. Non per essere all’avanguardia, ma per lo meno per ridurre il ritardo accumulato: la Forêt jardinée, infatti, non è opera recente, è stata ideata dal selvicoltore neocastellano Henry Biolley a fine Ottocento.

Nicola Schoenenberger, Consigliere comunale a Lugano (I Verdi)

Opinione pubblicata nel CdT e riproposta con il consenso dell’autore e della testata