I colloqui dell’ultimo minuto tra Unione europea e Regno Unito non stanno andando da nessuna parte. Anzi, rimangono divergenze molto ampie e non è ancora chiaro se queste possano essere colmate, tenendo presente anche il distacco degli alleati europei su alcune posizioni come l’accesso alle acque di pesca, le norme sui sussidi alle imprese e le modalità di controllo di qualsiasi nuovo accordo. Per questo motivo la scadenza è stata posticipata al fine settimana.

Il disaccordo sulla pesca è un argomento politicamente sensibile per la Francia ad esempio, che vuole concordare modi per risolvere future controversie commerciali e proteggersi dal dumping sui prezzi. Sono in gioco circa mille miliardi di Euro di scambi annuali con nuove e significative barriere commerciali che entreranno in vigore il 1° gennaio in quanto non sarebbero più negoziabili secondo i termini dell’Organizzazione mondiale del commercio. Ovvero si ritorna alle tariffe doganali e quote che in precedenza non esistevano.

Una Brexit pasticciata e senza accordo su nuove regole per governare qualsiasi cosa, accompagnerebbe in poco tempo l’UK in una forte recessione, sconvolgendo i mercati finanziari e seminando il caos nelle catene di approvvigionamento già alle prese  con il Covid-19.

Un confine sorgerà lungo la Manica, con il porto inglese di Dover e quello francese di Calais sotto pressione. Non si conoscono gli aspetti principali di come opererà la frontiera tra UK e UE riguardo l’Irlanda. I produttori dovranno affrontare costi più elevati vedendosi interrotte le catene di approvvigionamento, mentre l’industria del trasporto rischia il respingimento dei camion che trasportano merci nell’UE senza i documenti giusti. Le aziende di servizi si troverebbero a dover affrontare ulteriori burocrazie. Il settore bancario e del commercio di titoli subirebbe probabilmente un caos finanziario, senza  poter fare affidamento su piani di emergenza.

Mesi difficili per le imprese inglesi frenate anche dalle restrizioni governative che hanno introdotto regole regionali su tre livelli facendo precipitare il settore dei servizi. Nel caso di mancato raggiungimento di un accordo porterebbe ad un rallentamento della crescita del Regno Unito con un duro colpo per i redditi delle famiglie, aggravati in questo periodo dal coronavirus. La maggior parte degli analisti inglesi, prevedono nell’ultimo trimestre 2020 un calo del PIL dell’8% rispetto alla fine dello scorso anno. Questo non rappresenta senz’altro un buon momento per il primo ministro Boris Johnson per trattare l’uscita dal mercato unico, Londra ha perso il suo peso.

Nel tentativo di aumentare la pressione, l’UE ha pubblicato piani di emergenza unilaterali in caso di mancato accordo, progettati per essere i più fastidiosi possibili per gli inglesi. L’UE insiste perché continuino nell’UK le regole europee della concorrenza e della parità di condizioni, usando il ricatto di non consentire agli aerei inglesi di volare sopra i cieli europei e ai trasporti su gomma di continuare a operare in territorio europeo.

Alcune misure di emergenza che andrebbero prese per evitare serie problematiche in caso di mancato accordo riguardano: la garanzia di fornitura di determinati servizi aerei tra UK e EU per sei mesi, l’utilizzo di certificati di sicurezza aerea sugli aeromobili dell’UE  per evitare il fermo, la connettività di base per il trasporto di merci su strada e dei passeggeri per almeno 6 mesi e infine la possibilità di accesso reciproco alla pesca per le navi del Regno Unito e dell’UE nelle acque territoriali per un anno.

Il governo britannico non sarà d’accordo su nulla che non rispetti la sovranità britannica. La foto comune di Johnson insieme alla von der Leyen, quando è arrivato al quartier generale europeo, è emblematica. La presidente della Commissione europea lo ha invitato a mantenere (un’ampia) distanza mentre si toglieva la mascherina facciale per posare davanti ai fotografi.

Il Regno Unito violerà il diritto internazionale in caso di mancato accordo, per aver ignorato le condizioni dell’accordo di recesso. I colloqui continuano ma la situazione non sembra sbloccarsi di fronte ad una mancanza di equità per entrambe le parti che vogliono attenersi al loro princìpi.

Guarda caso, oggi sono gli euroscettici che mettono sotto pressione il primo ministro inglese per avere a tutti i costi un accordo commerciale con l’UE. La mappa politica del Regno Unito è cambiata dal referendum del 2016. A livello nazionale, secondo un sondaggio della società londinese di consulenza Savanta ComRes, la maggioranza del popolo vuole un accordo. Ma l’incertezza e la minaccia di una rottura di quello che doveva essere un disegno per facilitare il passaggio da un enorme blocco commerciale ad un mondo esterno, rimane molto reale.