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Il 28 gennaio 1547 a notte fonda nel palazzo reale di Whitehall il re Enrico VIII, secondo monarca della dinastia Tudor, rese l’anima a Dio.

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“Se mai sarete prodighi di affetto e fiducia assicuratevi di non essere incauti; poichè coloro che vi fate amici e a cui donate il cuore, appena avran percepito la minima battuta d’arresto nelle vostre fortune scivoleran via da voi come acqua, né mai più si faran trovare, se non per colarvi a picco.”

(Dall’Enrico VIII di William Shakespeare (1612)

Si racconta che durante il regno di Maria la Sanguinaria (che regnò dal 1553 al 1558) il cadavere di re Enrico VIII sia stato riesumato dalla tomba per ordine della regina – che pure era sua figlia – gettato tra le fiamme e ridotto in cenere. Questo la dice lunga sulle passioni suscitate da Enrico in chi gli stava intorno. Il re sapeva ispirare tenace affetto e inestinguibile odio.

Oltre a un fisico robusto, instancabile, Enrico VIII (1491-1547) possedeva una carica di energia nervosa che lo spingeva a un frenetico attivismo e dava a ogni suo movimento un carattere essenziale, incisivo. Sapeva abbandonare ogni sovrano distacco per mostrarsi buon camerata, allegro e alla mano, il che gli guadagnava l’affetto e l’ammirazione dei sudditi. La sua imponenza, la magnificenza che emanava dalla sua persona erano schiaccianti.

La corte era un mondo oscuro nel quale s’intrecciavano fini occulti, atteggiamenti ambigui, rapporti elusivi. Le gelosie e le rivalità personali si manifestavano in forme subdole e sottili: deferenza e dominio, calcolo e ingenuità erano ovunque soltanto apparenza. Il re, i suoi nobili e i suoi funzionari erano come pedine su una scacchiera e le loro mosse seguivano schemi intricati e spesso incomprensibili agli estranei.

Nel 1521, dopo 12 anni di regno, per Enrico il problema della successione minacciava di farsi grave. La regina aveva dato alla luce tre figli ma nessuno era sopravvissuto. Nel 1516 la nascita di una bambina robusta e sana era stata per tutti quasi una delusione. La bimba, la principessa Maria, non poteva soddisfare l’esigenza di un erede maschio.

Anna Bolena giunse alla corte di Enrico verso la fine del 1521. Aveva circa 15 anni e il nonno, l’ottantenne duca di Norfolk, le aveva trovato una sistemazione tra le dame d’onore della regina Caterina. Ben presto la giovane si impose all’attenzione del re e dei suoi cortigiani.

Enrico si separò dalla moglie, la regina Caterina, nel luglio 1531. Anna Bolena venne incoronata nel maggio 1533. Mai una regina, a memoria d’uomo, si era mostrata il giorno dell’incoronazione con un’evidente gravidanza in corso. Quattro mesi dopo l’incoronazione, grande fu la delusione del re quando la regina partorì una bambina (la futura regina Elisabetta I).

Enrico non era presente quando la principessa Elisabetta, era stata battezzata e in genere se ne occupava ben poco. Quando Anna rimase nuovamente incinta ma la gravidanza si concluse prematuramente, il re montò su tutte le furie e per distrarsi si mise a cercare la compagnia di nuove cortigiane: il declino di Anna Bolena era ufficialmente iniziato.
Con i suoi amori, la sua perenne irritabilità, l’atteggiamento di offensiva indifferenza nei confronti della moglie, Enrico palesava la sua insoddisfazione. Aveva penato molto per fare di Anna una regina e lei era incapace di generare figli maschi. Dopo due anni di matrimonio Enrico era già pentito.

Nella primavera del 1535 la regina Anna era visibilmente in preda al terrore. Cercava di sminuire le infedeltà del marito ma rideva di un riso forzato e confessò a sé stessa di essere ormai rovinata e perduta.

La sua caduta fu rapida e drammatica. Fu nominata una commissione per raccogliere prove per condannarla per tradimento e adulterio e nel giro di pochi giorni fu rinchiusa nella Torre di Londra. Il 19 maggio 1536 Anna Bolena, condannata a morte dopo un pubblico processo davanti a un’alta corte, fu decapitata per ordine del re. In segno di lutto Enrico vestì una veste bianca.

Undici giorni dopo la morte di Anna Bolena, il re sposò Jane Seymour. Entrambi discendevano direttamente da Edoardo III, erano dunque legati da un vincolo di sangue troppo stretto per consentire il matrimonio secondo le leggi della Chiesa. L’arcivescovo Cranmer dovette concedere una dispensa. Il 12 ottobre 1537 la regina Jane diede alla luce un bel bambino, Edoardo. Per celebrare l’arrivo dell’atteso erede maschio il re ordinò si facesse gran festa e da tutte le chiese si innalzarono Te Deum di ringraziamento. I cannoni tuonarono, le campane suonarono a festa e si accesero fuochi in tutte le vie. Dopo il parto la salute della regina peggiorò. La mattina del 24 ottobre un confessore le somministrò l’estrema unzione e la regina morì nel corso della notte. Era stata la terza delle sei mogli di Enrico VIII.

Il re trascorse gli ultimi mesi di vita confinato nelle sue stanze, nel palazzo di Whitehall. In questa imponente dimora tutto respirava il passato e un’oscura maledizione sembrava aleggiare ovunque. Molti degli arredi che riempivano le innumerevoli sale erano stati confiscati ai traditori che il re aveva mandato al patibolo. Uno dopo l’altro erano giunti mobili e oggetti provenienti dalle case di persone bollate d’infamia e il curatore del re li aveva distribuiti a corte. Quando lasciava (di rado e di malavoglia) le sue stanze, Enrico si trovava circondato dai ricordi del passato, degli uomini che aveva mandato a morire.

Sovrappeso, deluso, afflitto da diversi mali e con il cuore pesante, Enrico VIII morì alle due del mattino del 28 gennaio 1547, a 56 anni, lasciando il trono e la corona al figlio Edoardo, di appena 10 anni. Di salute cagionevole, Edoardo VI morì nel 1553.

Enrico era stato il secondo monarca della dinastia Tudor e il fondatore della Chiesa anglicana, creata dopo lo scisma con la Chiesa di Roma, a seguito del divieto del Papa di concedergli il divorzio da Caterina d’Aragona. Per tutta la vita aveva rincorso il sogno di dare stabilità al trono d’Inghilterra e alla dinastia regnante dei Tudor. Un sogno che lo aveva portato a sposarsi sei volte, ogni volta con la speranza che la regina sua consorte potesse dare alla luce un figlio maschio, sano e forte, in grado di crescere e – un giorno – di governare.

Breve accenno alle sei mogli del re

Caterina d’Aragona (1485-1536): madre della regina Maria (la Sanguinaria). Dopo il divorzio venne allontanata dalla corte e confinata in un monastero.
Anna Bolena (1507-1536): madre della regina Elisabetta I. L’incapacità di dare al re un figlio maschio la condusse al patibolo dopo appena tre anni di matrimonio.
Jane Seymour (1508-1537): morì pochi giorni dopo la nascita del figlio Edoardo. Fu l’unica delle sei consorti ad essere sepolta con gli onori dovuti a una regina.
Anna di Clèves (1515-1557): tedesca, fu regina per pochi mesi, dal gennaio al luglio 1540. Al re non piaceva, né fisicamente né caratterialmente. Quando lei accettò di divorziare senza alcuna recriminazione, Enrico la ricompensò con il titolo di Sorella del Re e le assicurò una vita agiata sino alla fine dei suoi giorni.
Catherine Howard (1520-1542): sposò Enrico nell’agosto 1540. Il re era profondamente innamorato della giovane sposa (lui aveva quasi 50 anni, lei era poco più che ventenne) e quando nel novembre 1541 scoprì la sua relazione con un giovane nobile di corte, la sua reazione fu tremenda.
L’amante della regina fu arrestato, torturato e ucciso, mentre la regina fu obbligata a confessare. Accusata di aver condotto una vita meschina e viziosa prima e durante il matrimonio, fu rinchiusa nella Torre di Londra e qui fu decapitata, il 13 febbraio 1542.
Catherine Parr (1512-1548): la sesta e ultima moglie del re. Alla morte di Enrico si risposò e morì di parto all’età di 36 anni. Le qualità che dimostrò negli anni in cui fu regina e il forte senso di lealtà e devozione a Enrico le hanno guadagnato molti estimatori tra gli storici.

(da : Il grande Enrico, vita di Enrico VIII, re d’Inghilterra, di Carolly Erickson, Mondadori editore)