Un uomo di 30 anni è morto a Tripoli durante la terza notte di scontri tra le forze di sicurezza e manifestanti frustrati per l’estensione del blocco totale nazionale deciso dal governo libanese per tentare di arginare il drammatico aumento delle infezioni da coronavirus. La pandemia sta aggravando la situazione economica e finanziaria del paese già fortemente in crisi. È la prima vittima delle proteste cominciate nel nord del paese all’inizio di questa settimana.

Il deterioramento delle condizioni di vita, in un paese in cui vivono meno di 5 milioni di persone e oltre 1 milione di rifugiati, insieme alle severe misure restrittive, hanno causato una forte ribellione soprattutto nella seconda città più grande del Libano dove i manifestanti hanno cercato più volte di entrare nell’edificio municipale lanciando sassi e incendiando autovetture. Oltre 225 le persone rimaste ferite, di cui 26 sono poliziotti. Alcuni hanno lanciato bombe molotov e granate da combattimento contro gli agenti antisommossa e soldati libanesi che hanno risposto usando cannoni d’acqua e gas lacrimogeni. Dopo diverse ore di scontri, le forze di sicurezza hanno schierato i rinforzi per disperdere i manifestanti ricorrendo alla fine a proiettili veri.

“Siamo qui per chiedere cibo. La gente ha fame, è ora che le persone scendano in piazza”, gridava un giovane manifestante a Tripoli, città situata nella zona più povera del Libano ancor prima della pandemia. I manifestanti hanno tentato anche di bloccare le principali autostrade usando pneumatici in fiamme e contenitori della spazzatura.

Oltre che per le misure di blocco, che inizialmente dovevano terminare il 25 gennaio, le proteste riflettono la crescente rabbia della popolazione per la negligenza e l’inefficacia delle autorità governative di fronte al fallimento del paese dove la disoccupazione e l’inflazione sono salite alle stelle, peggiorando notevolamente le condizioni di vita.

La valuta libanese è crollata perdendo oltre l’80% del suo valore rispetto al dollaro americano, costringendo gli istituti bancari libanesi a controllare i prelievi e trasferimenti per proteggere le riserve estere in forte calo. Il paese “cade a pezzi” e gli ospedali travolti dall’ondata del virus hanno già esaurito i dispositivi di supporto respiratorio nelle unità di terapia intensiva. Con una carenza di tutto, dalle apparecchiature ai medicinali, i medici libanesi devono prendere delle decisioni di vita o di morte su chi dovrebbe ricevere le scarse risorse mediche di fronte all’aumento dei casi. La risposta all’assistenza medica è ostacolata dalla crisi finanziaria che dura da diverso tempo e che ha messo il paese in ginocchio. Molti membri del personale medico subiscono riduzioni o ritardi nel pagamento degli stipendi.

Le restrizioni permissive durante le vacanze hanno causato grandi raduni e feste tenute senza considerazione alcuna per la pandemia che ha immediatamente provocato un picco delle infezioni con una media da 2 mila fino a 6 mila nuovi casi al giorno.

La crisi economica è radicata in anni di cattiva gestione delle forze governative e dalla corruzione politica. Il governo si è dimesso ad agosto dello scorso anno, dopo la massiva esplosione del porto di Beirut, che ha distrutto tra l’altro alcuni importanti ospedali. Una lotta per il potere ha bloccato la formazione di un nuovo esecutivo. Un passo cruciale per attuare delle riforme che sbloccherebbero l’aiuto finanziario straniero.

L’aumento della povertà ha spinto la gente in strada dando vita ad un importante movimento di opposizione che ha preso slancio nell’ottobre del 2019. Malgrado si siano dimessi due governi, ad oggi non è stato fatto nulla per affrontare la causa principale della crisi libanese.