Ormai stiamo già votando (ma avremo tempo fino a domenica 7 marzo).

Questo articolo, per garbato che sia, ci dice chiaramente che l’Avvocato vota Sì. E se la consigliera federale Keller-Sutter vota No, pazienza, è un suo diritto democratico.

A nostro avviso uno dei passaggi chiave dell’articolo è questo: “sarebbe non solo errato ma addirittura pericoloso se noi rinunciassimo a chiedere il rispetto a casa nostra per le nostre convinzioni e per i nostri costumi“.

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Tema delicato e complesso che coinvolge convinzioni religiose e conquiste della società civile, oppone divergenti visioni culturali. Ho spesso visitato Paesi mussulmani, arabi e non. La mia regola è sempre stata quella del rispetto. Quando si va in casa d’altri si debbono accettare le regole di convivenza, anche se in alcuni casi non condivise. Se ciò disturba si resta a casa propria. Se ben ricordo, critiche furono rivolte alla signora Calmy-Rey, perché anni fa in visita al presidente dell’Iran si è coperta il capo. Critiche fuori posto, ha correttamente evitato di mettere l’Autorità locale in imbarazzo, primo passo della diplomazia. Ho ricevuto da me ospiti mussulmani di stretta osservanza religiosa ed ho evidentemente evitato di stringere la mano alle mogli, nostra usanza che avrebbe messo a disagio i miei ospiti. Trovo ridicole le strategie degli avventori dei tanti «Caffè della Posta» che per sistemare il mondo si schierano per le sollevazioni popolari con relative vittime, non rischiando però del proprio. È vero, due spregevoli personaggi quali Saddam Hussein e Gheddafi sono stati con generale giubilo (ma per interessi degli USA e della Francia che puzzavano di petrolio) destituiti e giustiziati. Risultato: il Kuwait è nel caos e la Libia è nelle mani di bande armate divenendo il centro di quello scellerato mercato di esseri umani che passa sotto il nome di migrazione.

Condivido l’irritazione delle donne – femministe e non – di fronte ad un’imposizione che con i nostri metri consideriamo umiliante sottomissione, grave limitazione dei propri diritti, pur precisando che il burqa è l’espressione di usanze tribali più che di prescrizioni religiose. Forse, contrariamente a frettolose analisi, la maggior parte delle donne portanti il burqa (un’esigua minoranza delle mussulmane) se venissero interrogate esprimerebbero la propria adesione ad una tradizione che ha radici nel costume di quei Paesi, ma intollerabile da noi.

Mi è rimasto impresso negli anni un pranzo carico di insegnamenti: quello offertomi alla residenza dal cognato dell’allora Re del Marocco, persona di grande cultura. Abbiamo mangiato conformemente alle tradizioni marocchine, senza posate, mentre il nostro ospite ci spiegava le radici culturali e le ragioni igieniche alla base dell’usanza. Il discorso è passato al diverso comportamento nei due mondi, dove il nostro anfitrione ci ha narrato delle colazioni domenicali all’Elysée, quando era ambasciatore del Marocco in Francia, con il presidente De Gaulle e intellettuali del livello di André Malraux. Cambia il quadro, ma la ben concepita convivialità facilita i contatti e temi e preoccupazioni spesso coincidono. Due in particolare: la conciliabilità dell’Islam con la democrazia e il confronto del mondo arabo con la modernità occidentale. Convinzione comune: il rispetto accompagnato dalla conoscenza delle proprie culture e aiutato dal colloquio sono tra le armi più importanti per facilitare la convivenza.

Il burqa portato da noi in Europa urta la nostra sensibilità e il nostro concetto di libertà. Non possiamo dimenticare la nostra di cultura, con ancore diverse, un diverso concetto del rispetto della donna, le conquiste della società civile ed una secolarizzazione basata su una netta separazione nei confronti delle religioni a partire da quella cristiana, pur presente nelle nostre radici e con un ruolo determinante nel nostro sviluppo storico. Cartesio, l’illuminismo scozzese e quello francese, filosofi del ’700, ’800 (senza dimenticare Marx ma neppure Kant) ci hanno accompagnato nella modernità con la quale per contro il mondo arabo, volutamente o meno, ha mancato l’aggancio. Forse questa è la ragione più fondata per le possibili incomprensioni.

Ora sarebbe non solo errato ma addirittura pericoloso se per forme oggi in voga (e molto facili) di qualunquismo culturale (talvolta contrabbandato quale multiculturalismo) noi rinunciassimo a chiedere il rispetto a casa nostra per le nostre convinzioni e per i nostri costumi. I miei discorsi con conoscenti mussulmani mi portano a dire che posizioni determinate non di ostracismo ma di ferma difesa della nostra società vengono apprezzate molto più delle ipocrisie e dei tentativi di arruffianamento, di colonialismi culturali mascherati, ma anche di semplici espressioni di debolezza che celano sostanzialmente ignoranza e vergogna di se stessi e del proprio passato.

Tre i punti basilari del rapporto tra noi e il mondo mussulmano: il rispetto, il colloquio e la facilitazione all’approccio alla modernità. Indispensabile quest’ultima per un mondo arabo che nei futuri decenni vivrà non di petrodollari ma di una intelligente, industriale e tecnologica gestione dei propri dollari. Una chiara difesa della nostra modernità potrà facilitare loro le vie dell’aggancio.

La consigliera federale Keller-Sutter ha cercato di bagatellizzare il tutto considerando inutile l’impegno e lo sforzo, dato il limitato numero di donne che arrivano da noi con il burqa. Ne sono rimasto stupito e vorrei farle presente che vi sono temi che non si risolvono con il pallottoliere.

Tito Tettamanti

Pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata