Recentemente sono stati pubblicati gli ultimi dati sulla crescita dei frontalieri in Ticino, giunti ad oggi a 47’648 unità.
Al pari di qualsiasi lavoratore “nostrano”, il frontaliere si reca in Ticino non per il semplice gusto di lavorare, ma per offrire una prestazione professionale in cambio di un salario per lui appetibile, eppure nettamente inferiore rispetto a quanto accetteremmo noi indigeni ticinesi. E per la gioia dei datori di lavoro, i quali, approfittando delle condizioni quadro della libera circolazione, possono retribuire il dipendente straniero la metà, o anche meno, di quello ticinese e fan cosi quadrare il conto economico dell’azienda con queste manovre di risparmio.

Come si può colpevolizzare il frontaliere? Come chiedergli di rifiutare un posto di lavoro in Svizzera, specie se risiede in Italia? Conosciamo tutti la situazione nella vicina Penisola, dove i posti di lavoro scarseggiano, con una disoccupazione a quasi al 10%. Non voglio tornare alla polemica della campagna “Bala i Ratt”, già spropositatamente strumentalizzata dagli avversari politici e bollata come xenofoba, invece di divenire punto di riflessione sulla reale situazione economico-occupazionale in cui ci troviamo oggi. Poniamo piuttosto l’attenzione sull’alta percentuale di posti di lavoro occupati dai frontalieri in rapporto alla popolazione attiva ticinese residente. Oltre il 20%.
Quali sono le ragioni di questo trend in costante crescita? Quali sono le nostre colpe? Facciamo brevemente il punto.

Formazione professionale ed accademica:
Senza mettere in discussione la qualità della nostra istruzione, è innegabile che si sta evidenziando sempre più una perdita di coesione tra la domanda del mercato del lavoro e gli indirizzi di studio intrapresi dagli studenti. Il mercato del lavoro è tornato a richiedere manodopera artigianale ma, ahimè, le nostre scuole “sfornano” sempre più economisti, esperti in comunicazione, avvocati, informatici e così via, obbligando le nostre aziende a importare personale dall’estero per sopperire alla mancanza di figure professionali specializzate. Stiamo forse fabbricando nuovi disoccupati? Non intendo scoraggiare i giovani dall’intraprendere la professione che sognano, ma tra i compiti del nostro sistema educativo non dovrebbe esserci quello di aiutare gli studenti ad orientare le proprie scelte? Siamo sicuri che tutti gli studenti vogliano essere economisti?

Disoccupazione:

Molte persone che hanno perso il lavoro faticano a rimettersi in discussione. Dopo essere stati per anni occupati in un certo settore, è lì che mirano a tornare, ponendosi inconsapevolmente, a volte, “fuori dal mercato”. A mio giudizio, le istituzioni preposte dovrebbero suggerire e, in alcuni casi, indirizzare con vigore i disoccupati a intraprendere nuove strade, per evitare di restare in disoccupazione fino al termine del limite di legge. Il lavoratore stesso dovrebbe imparare a valutare a 360° dove risiedono le migliori opportunità, senza preclusioni, ed ammettere che, oltre ad avere dei diritti, ha anche dei doveri verso la comunità. Una persona attiva, con un lavoro, qualunque, rende a se stesso e alla comunità in cui vive un servizio di gran lunga migliore di una che si condanna ad una lunga disoccupazione e, infine, all’assistenza sociale.

Datori di lavoro nel secondario e terziario
Se in Ticino abbiamo raggiunto quasi 48’000 frontalieri non si deve solo al fatto, come promuovono fino alla nausea alcune forze politiche di sinistra e alcuni benpensanti del mondo economico, (avvocati ed ex magistrati) che essi costituiscono “ una forza lavoro che il Ticino necessita perché, al contrario dei ticinesi, sono specializzati, non rifiutano i lavori più umili o poco retribuiti e, infine, non hanno paura di sporcarsele, le mani, lavorando in ospedale, sulle strade, nei cantieri, nelle fabbriche”.

In Ticino dovremmo imparare a rivalutare le nostre capacità, rimboccarci le maniche e dimostrare che non siamo da meno di chi arriva da fuori. Politicamente, dovremmo iniziare a riconsiderare la possibilità di limitare le assunzioni dall’area UE. Il Cantone Ticino dovrebbe presentarsi sotto il “cupolone” a Berna e pretendere un riconoscimento di “Cantone di frontiera”, quindi a statuto speciale. Riconsiderare, anche nel settore finanziario, la massiccia erogazione di posti di lavoro a super laureati provenienti, ad esempio, dalla Bocconi di Milano, che avrebbero indubbiamente tutte le competenze necessarie (escluso forse la conoscenza delle nostre lingue nazionali), ma ai quali mancherebbe probabilmente lo storico e importante “background discrezionale bancario svizzero”. Non è colpa loro, bensì delle nostre imprese, banche e fiduciarie che, pur di risparmiare sui bilanci, allontanano personale indigeno per sostituirlo con personale straniero. Lo stesso dicasi per i dirigenti. Succede già da anni nelle imprese. La nomina di “management” straniero impatta sulle successive politiche d’assunzione. Se un direttore di una banca proviene da Milano o Stoccarda, chi pensate sceglierà per il proprio organico? Gli esempi quotidiani non mancano.

Se non ci diamo una mossa a livello politico, a cambiare le regole d’ingaggio, assumendoci le nostre responsabilità civili e sociali, tra qualche anno la percentuale (forza lavoro attiva) di coloro che verranno da fuori non sarà più del 20% ma del 40% rispetto a quella residente-indigena.
Ma la colpa non sarà da attribuire al frontaliere. Egli va dove meglio gli conviene. Non faremmo anche noi così?

Tiziano Galeazzi
Candidato UDC per il Gran Consiglio