PTT, fondata nel lontano 1920 come raggruppamento di poste, telefoni e telegrafi, ha operato sottoforma di compagnia nazionale fino al 1998. Dalla sua scissione si sono generate: La Posta Svizzera e Swisscom. Mentre alla prima si è voluto lasciare il carattere di azienda pubblica (anche se autonoma), la telefonia svizzera ha – ancor prima della scissione di PTT – vissuto un lungo iter di privatizzazione.

Il capitale di Swisscom – peraltro suddiviso in ossequio al suo stato di Società Anonima – è oggi posseduto soltanto per il 56.94% dalla Confederazione, con la restante quota in mano a terzi e con quale unico vincolo l’obbligo di garantire alla Confederazione la maggioranza delle azioni e con questo il controllo dell’azienda. Fatta questa lunga premessa ed ammesso – ma non concesso – che la suddetta struttura sia ancor oggi dai più condivisa, un occhio di riguardo va dedicato ad un tema scottante: l’operato della compagnia nel campo delle partecipazioni sui mercati internazionali. Iniziato quando ancora nazionalizzata e dai risultati spesso discutibili ma – nonostante il coinvolgimento diretto della Confederazione – troppo poco spesso portati dinnanzi all’opinione pubblica. Ad inizio ‘98, quando ancora PTT, si registravano attività (fra cui molte partecipazioni) in una costellazione di paesi: Austria, Germania, India, Italia, Liechtenstein, Malesia, Olanda, Stati Uniti ed Ungheria.

Prime pietre posate per la costruzione di una strategia estera tuttora protratta, ma che in molti casi – rivelandosi pietre d’inciampo – avrebbero dovuto fungere da esperienze d’apprendimento piuttosto che venire dimenticate come semplici disavventure determinate da fattori aleatori ed indipendenti dall’operato aziendale. Due casi plateali sono quelli di India e Malesia, mercati nei quali Swisscom si è avventurata priva di alcuna conoscenza e con quali conseguenze la perdita netta di 519 milioni di franchi: dato ufficialmente riportato nel rapporto annuale del 1998 e tanto grave da finire in un libro di testo come esempio di errore grossolano. A partire dal 1999, nel pieno della bolla delle telecom – con valori azionari alle stelle – Swisscom ha dato il via all’acquisizione della maggioranza del capitale azionario della germanica DebiTel per un totale di circa 4.3 miliardi di franchi. Soltanto dopo pochi anni (nel 2004) – per impossibilità di attuare le sinergie auspicate – la quota di DebiTel è stata ceduta all’offerta di 994 milioni di franchi. Cifra esigua rispetto a quanto investito nell’acquisto e sinonimo di un’ulteriore partecipazione discutibile.

Va ammesso che fra il 1999 ed il 2004 qualche dividendo è stato incamerato, anche se “quantité négligeable” di fronte all’abisso fra il prezzo d’acquisto ed il prezzo d’alienazione. Su questo va chiarita quale premessa per la comprensione del caso la distinzione dicotomica tra un investimento finanziario ed uno invece strategico. Mentre nel primo si specula unicamente sui valori di mercato, nel secondo – e questo è il caso che Swisscom attribuisce a DebiTel ed a FastWeb (che vediamo di seguito) – a contare sono gli sviluppi potenziali di mercato e tecnologici. Distinzione tanto ovvia che solleva un’altrettanto ovvia conclusione: se il risultato – come per India, Malesia e Germania – è sempre l’abbandono del mercato con ingenti perdite, è chiaro che nessuna distinzione formale incorrerà a salvare Swisscom da queste perdite e dalle conseguenti reazioni.

Ma veniamo all’avventura attuale: FastWeb ed il mercato italiano. Swisscom ne ha dapprima acquisito l’82.1% nel 2007 per 3.1 miliardi di euro di allora (circa 5 miliardi di franchi), al prezzo di 47 euro per azione. L’operazione in realtà è costata circa 6.9 miliardi di franchi, comprendendo anche l’eliminazione di un debito di FastWeb ed altri dettagli. Poi, nel 2010 ha continuato l’acquisizione raggiungendo il 94.8% della quota per 240 milioni di franchi circa, al prezzo di 18 euro per azione. Considerando unicamente le transazioni per il capitale azionario, quanto investito supera ampiamente i 5 miliardi di franchi. Nel frattempo però le quotazioni azionarie sono crollate – come era attendibile – con il passaggio dai 47 euro del 2007 ai 17.9 odierni, tanto che – in ossequio all’aritmetica – il suo valore azionario di mercato (con un capitale oggi suddiviso in 79.508.095 azioni) risulta essere passato da circa 3.7 miliardi di euro del 2007 ai circa 1.4 di oggi (1.85 miliardi di franchi). Se lo volessimo considerare in forma d’investimento finanziario, la sua sovrastima sarebbe – ad oggi – superiore ai 3 miliardi. Certamente FastWeb ha il suo fatturato, ma gli utili sono ancora esigui (10.7 milioni di euro nei primi nove mesi del 2010), le sue tecnologie non sono certamente più all’avanguardia di quelle elvetiche e le potenziali sinergie sembrano poche, tanto che il santo non pare esser valso la candela.

Considerando poi l’indebitamento cagionato dall’operazione d’acquisizione, il quadro non è certamente idilliaco. Dubitare – guardando al passato – da lecito è divenuto d’obbligo e l’augurio è che l’operazione non si riveli un ulteriore errore, ma porti almeno alle auspicate espansioni e sinergie in un futuro non troppo remoto. Unica pecca è che la strategia finora intrapresa abbia anche fatto implicare la compagnia – in maggioranza della Confederazione – in un’inchiesta giudiziaria in Italia per il riciclaggio di miliardi di euro.

Michele Guerra, Economista, Lega – Vicepres. MGL