Dopo 14 mesi di una fragile unità nazionale, il partito religioso Hezbollah e i partiti che formano la coalizione dell’«8 marzo» hanno assestato un duro colpo al governo del premier Saad Hariri, ritirando un terzo dei trenta ministri.
Alla radice del problema c’è il Tribunale speciale per il Libano che indaga sull’assassinio, nel 2005, del premier Rafiq Hariri, padre dell’attuale primo ministro, che ora si trova in carica «ad interim».
In un primo tempo i magistrati avevano accusato dell’omicidio la Siria, mentre ora sotto accusa sono alcuni alti responsabili di Hezbollah. Per questo il partito religioso sostiene che il Tribunale speciale è fuorilegge, uno strumento politico nelle mani di Washington e dei suoi alleati in Medio Oriente.

Da mesi il premier Hariri si trova in una situazione scomoda. Da una parte la volontà di conservare l’appoggio del blocco guidato da Hezbollah e dall’altra la necessità di mantenere buoni rapporti con Stati Uniti, Francia, Arabia Saudita, Iran e Siria, che lo spingono a far luce sull’attentato del 2005 e che lui, per motivi economici, lui non vuole scontentare.

“Il Libano sta precipitando in un tiro della fune regionale tra Stati Uniti, Israele e i loro alleati da una parte, e Siria, Hezbollah e Iran dall’altra – dice Joshua Landis, esperto di Medio Oriente dell’università dell’Oklahoma.
Questa situazione non dovrebbe portare ad una guerra, secondo Landis, perché Hezbollah ha detto chiaramente che non la vuole e non cerca neppure il colpo di Stato. Il suo obiettivo è uno stallo come tra il 2005 e il 2008, il rallentamento degli investimenti e il declino della crescita. Hezbollah si farà forte dalla perdita economica e attirerà nuove forze nelle sue file.

Il presidente libanese Michel Suleiman cerca di riattaccare i pezzi del governo in frantumi. Sarà molto difficile che il partito sciita voglia tornare in un governo guidato da Hariri anche se l’ex premier non ha ancora gettato la spugna. Ieri è stato protagonista di un tour de force tra Parigi e Ankara per incassare l’appoggio di Sarkozy e la disponibilità a mediare della Turchia, che sempre più si afferma come potenza regionale.