Oggi in Russia è stato proclamato il lutto nazionale per le vittime dell’attentato di lunedì all’aeroporto moscovita Domodedovo. Nel frattempo il presidente Dmitri Medvedev ha proceduto ai primi licenziamenti, sia fra i politici che fra i dirigenti delle forze dell’ordine.

La prima testa caduta è quella di Andreï Alexeev, capo della direzione del trasporti del ministero dell’Interno.
“Chi non fa bene il proprio lavoro verrà punito – ha promesso Medvedev – Alexeev è solo il primo di una lunga lista.”
Il presidente ha avuto parole di condanna nei confronti dei servizi di sicurezza incaricati di sorvegliare l’aeroporto Domodedovo. Ha risparmiato invece la polizia e il servizio d’informazioni russo, malgrado le voci secondo le quali questo servizio era al corrente dell’imminenza di un attacco terroristico a Mosca e non è stato in grado di prevenirlo. Addirittura il 20 gennaio i suoi agenti avevano perquisito un appartamento a Zelenograd, nella regione di Mosca, senza trovare nulla di sospetto, quando proprio in quell’appartamento i terroristi stavano pianificando l’attentato.

Il premier Vladimir Putin ha lanciato un appello all’unità del paese contro la violenza terroristica: “Ogni società sana si unisce di fronte a una minaccia e respinge banditi, estremisti e terroristi. Sono certo che accadrà anche in Russia.”
Per Putin invece non vi è nessuna possibilità di trattativa con le milizie islamiche ribelli. “Per quel che riguarda l’ipotesi di negoziati con i terroristi, nessun paese che si rispetti farà mai una cosa del genere. Non si tratta solo di una questione di autostima, si tratta di una pratica antiterroristica internazionale”.

Per quanto riguarda gli autori dell’attentato, Putin ha affermato che l’attacco “non ha nulla a che fare con la Repubblica cecena”. Le sue dichiarazioni contrastano con l’orientamento iniziale delle indagini, che da subito avevano puntato il dito contro i ribelli islamici del Caucaso settentrionale, regione di cui fa parte anche la Cecenia.