Sul fatto che, contrariamente a quanto affermato dal fronte disarmista e dai medici che lo sostengono, gli “autorevoli studi scientifici” che dimostrerebbero una relazione causa-effetto tra la detenzione di armi a domicilio e numero di suicidi siano tutto fuorché autorevoli e scientifici, ci siamo già espressi a più riprese. Quelli pubblicati in Svizzera, poi sono di un’inconsistenza disarmante, meglio comprensibile solo prendendo atto dell’appartenenza degli autori a gruppi anti-armi ed anti-esercito (come nel caso del Dr. Fisch) od alla lista dei candidati al Nazionale del Partito Socialista (come il mitico Prof. Killias).

Vorremmo ora proporre ai lettori alcune riflessioni relative al pieno sostegno fornito dalla Federazione dei Medici Svizzeri (FMH) all’iniziativa in votazione il 13 febbraio. Come mai un’associazione di categoria, solitamente così prudente e rispettosa delle regole del “politicamente corretto” (in vero, secondo un’opinione sempre più diffusa all’interno del corpo medico elvetico, semplicemente inefficiente ed inefficace) quando si tratta di difendere i medici e la sanità pubblica dallo sfascio sanitario attualmente in atto, è scesa in campo con tanta determinazione e dovizia di mezzi per favorire il disarmo dell’esercito di milizia e dell’intero Popolo svizzero?

Chissà quale acceso dibattito avrà animato l’associazione, quanto lunga ed approfondita sarà stata la discussione con la base, prima di prendere una decisione su un tema che non rientra affatto nelle competenze ufficiali della FMH e che è potenzialmente foriera di gravi conseguenze per la sicurezza e la libertà dell’intera Nazione. Poiché, come membri della FMH, abbiamo appreso la posizione della nostra associazione di categoria direttamente dalla stampa, abbiamo inizialmente pensato di aver mancato qualche riunione importante, di aver inavvertitamente cestinato qualche lettera o cancellato qualche e-mail in cui veniva richiesta la nostra opinione… Poi ci siamo informati: tutto è stato deciso durante un’unica riunione di 3 anni fa in cui, dopo la presentazione degli studi-patacca di Killias e Fisch da parte dell’esperta di turno, venne chiesto ad una trentina di delegati cantonali di esprimersi sulla proposta di scendere ufficialmente in campo a favore dell’iniziatica “Contro la Violenza delle armi”. A maggioranza votarono sì ed il gioco fu fatto, il regolamento rispettato.

Un’unica riunione, base scientifica inesistente, 30 delegati, nessuna discussione con la base. Qualcosa di veramente strano. Per non parlare del fatto che, studi più o meno scientifici a parte, chiunque abbia un minimo di competenza in questo campo conosce bene il disastro cui è andata incontro la Gran Bretagna dopo il totale ritiro delle armi detenute legalmente dai cittadini nel 1997: aumento esponenziale degli omicidi (nel 2010, hanno battuto il record degli ultimi 100 anni), un’aggressione tra le mura domestiche ogni 30’, un’interminabile serie di pestaggi, sequestri, stupri, torture, accoltellamenti ed uccisioni. Senza dimenticare le armi illegali nelle mani dei delinquenti: 3 milioni secondo una stima recente della polizia britannica.Che, peraltro, quasi mai è in grado di salvare le vittime, ma è diventata molto esperta nel compiere i rilevamenti sulle scene dei crimini.

Attualmente, in Scozia, il rischio di essere aggrediti, accoltellati o stuprati è 3 volte maggiore che negli Stati Uniti. E che dire dei suicidi? Aumentati nei 5 anni seguenti il disarmo, poi diminuiti per qualche tempo e nuovamente in aumento a partire dal 2008. Chi ha deciso di utilizzare il buon nome dei medici svizzeri per spingere l’opinione pubblica nella rete disarmista, non può ignorare il dramma del paese che i sostenitori dell’iniziativa continuano a sbandierare come esempio positivo di società disarmata e pacificata. Non ne ha il diritto. Non fosse altro per il rispetto dovuto alle migliaia di vittime innocenti sacrificate ogni anno in quel paese sull’altare del buonismo e del disarmismo a senso unico.

E’ difficile trovare in Svizzera, persino di questi tempi, un altro esempio così eclatante di spudorata strumentalizzazione a fini politici di un’intera categoria di professionisti. Abbiamo dunque ipotizzato che alla base di tutto ciò vi fossero degli interessi particolari. Quando, dalla stampa, abbiamo appreso della candidatura ufficiale di De Haller al Nazionale per il Partito Socialista, tutto ci è parso finalmente chiaro. Speriamo che lo sia altrettanto agli occhi delle cittadine e dei cittadini chiamati a votare il 13 di febbraio.

Prof. Dr. Med. Sebastiano Martinoli Dr. Med. Pio Eugenio Fontana