Venerdì e sabato un gruppo di cittadini siriani che si presentano come L’Alleanza di Damasco per un cambiamento nazionale, organizza due giorni di proteste, sul modello di piazza Tahrir al Cairo.
Lo scopo è quello di portare il presidente Bachar Al Assad a togliere lo stato d’urgenza che vige nel paese dal 1963 e ad avviare riforme che Al Assad aveva promesso ma che non ha mai condotto a termine.

Come rileva in un intervento sul quotidiano romando Le Temps il professore David Lesch, profondo conoscitore della realtà nel Medio Oriente, vi sono certamente fattori comuni tra la Siria, la Tunisia e l’Egitto: un’ineguale ripartizione delle risorse del paese, la disoccupazione che sfiora il 20%, un tasso di nascite elevato e una povertà che colpisce il 14% dei 22 milioni di abitanti che conta la Siria.
Quel che invece la Siria ha di diverso è la sua avversione per gli Stati Uniti. Il governo di Al Assad non fa mistero della sua opposizione a Washington e ad Israele e la dimostra sostenendo il partito Hezbollah libanese e la formazione di Hamas nella Striscia di Gaza.
Per questo motivo il governo siriano ha molte probabilità di uscire indenne dalle manifestazioni di questi giorni, in quanto a cadere sembrano piuttosto i governi vicino agli Stati Uniti. Infatti i manifestanti non chiedono la partenza di Al Assad, ma un miglioramento delle condizioni della loro vita.

Come rileva Barah Mikaïl, direttore della ricerca presso la Fondazione per le relazioni internazionali di Madrid, attraverso la lotta contro americani e israeliani Al Assad ha instaurato nel suo popolo un senso di orgoglio patriottico, che va a compensare i problemi politici ed economici. Il presidente siriano è anche rinomato per la sua capacità di riuscire sempre ad anticipare i rischi di destabilizzazione del potere.
Malgrado i moti di protesta si può affermare che quello siriano sia un potere stabile. Al Assad sa però di non potersi fidare della benevolenza dei suoi compatrioti. In ogni suo spostamento è circondato da un sistema di vigilanza e di guardie del corpo.

Per quanto riguarda le frange islamiste, ci aveva già pensato il suo predecessor, suo padre Hafez, a schiacciarle nel 1982. Quello che viene ricordato come il massacro di Hama aveva fatto quasi 20mila morti fra gli appartenenti al movimento religioso. Gli islamisti siriani oggi fanno molta attenzione a non rendersi troppo visibili.
Nemmeno i partiti di opposizione costituiscono una minaccia e una vera e propria opposizione non esiste. Oggi i siriani chiamano a raccolta i manifestanti attraverso Facebook, ma la Siria è stato uno degli ultimi paesi medio orientali ad introdurre Internet (sistematicamente censurato) e a permettere l’accesso nel paese alle ONG internazionali.