Negli ultimi anni sul territorio della Confederazione una persona quasi tutti i giorni si toglie la vita con un’arma da fuoco. Gli oppositori all’iniziativa “Per la protezione dalla violenza perpetrata con le armi” sostengono che la stessa non può contribuire a ridurne il numero. In molti, però, riteniamo che ci siano buoni motivi per affermare esattamente il contrario.

“Restricting access to lethal methods reduce suicides rates”, cioè limitare l’accesso ai mezzi letali, quali sono le armi da fuoco, riduce il tasso di suicidi: questa è la conclusione di un articolo scientifico pubblicato su JAMA (Journal of the American Medical Association) nel 2005 e intitolato “Suicide prevention strategies: a systematic rewiew” (“Strategie di prevenzione del suicidio: una rivista sistematica”). JAMA è una rivista medica molto autorevole e non si permette di pubblicare pareri non documentati. Ma l’esercito svizzero stesso, paradossalmente e checché ne dicano molti alti ufficiali appassionati di armi, ha ben dimostrato che una minor presenza di armi da fuoco a domicilio riduce il tasso di suicidi. I dati sono dell’Ufficio federale di statistica: dall’introduzione di Esercito XXI nel 2004 i suicidi con arma da fuoco sono diminuiti di quasi il 50% nel gruppo degli uomini d’età compresa tra i trenta ed i quarant’anni. Perché? Con Esercito XXI il servizio militare obbligatorio termina non più a quaranta, bensì già a trent’anni, e l’arma personale non viene più lasciata così facilmente al milite che viene congedato, come era il caso in precedenza. Questa è la dimostrazione “sul campo”, per restare in gergo militare, che una legislazione restrittiva sulle armi da fuoco permette di salvare delle vite.

L’esercito ha lo ha dimostrato, di certo involontariamente. Cerchiamo di operare nella direzione giusta fino in fondo anche in ambito civile e votiamo quindi sì all’iniziativa “Per la protezione dalla violenza perpetrata con le armi” il prossimo 13 febbraio.

Rolando Bardelli, medico di famiglia, Balerna