È sempre più in fiamme l’est della Libia – da Bengasi ad Al Baida e oltre, verso il confine con l’Egitto – nonostante il pugno di ferro messo il campo dal leader Muammar Gheddafi che, attraverso “i Comitati rivoluzionari e il popolo”, ha minacciato “i gruppuscoli” anti-governativi di una repressione “devastante”.
Dopo le decine di morti (tra 28 e 50) di cui tra ieri e oggi è giunta notizia da varie località senza ottenere conferme indipendenti, stasera la Libia è letteralmente balzata al primo posto tra i paesi della rivolta.

Anche il dittatore libico dovrà fare i conti con il popolo

Le notizie in serata si susseguono a ripetizione, laddove riescono a filtrare attraverso la censura, nonostante i telefoni bloccati e le comunicazioni non facili che, anche via Internet, riescono a dribblare con estrema difficoltà il controllo del quarantennale regime di Gheddafi.

Due poliziotti impiccati dai manifestanti ad Al Baida (terza città del Paese), la sede della radio incendiata a Bengasi (seconda città, da sempre ribelle), dove oggi ci sono state altre proteste e scontri. Le forze dell’ordine hanno successivamente ricevuto l’ordine di ritirarsi dal centro delle due località, ufficialmente “per evitare ulteriori scontri con i manifestanti e altre vittime”. Ma nello stesso tempo non si allontanano, le circondano e prendono il controllo di tutte le vie d’accesso, sia per impedire a chi ha partecipato ai disordini di allontanarsi sia per bloccare eventuali civili o miliziani intenzionati ad unirsi alla piazza. Queste, le notizie dalle fonti ufficiali. Alle quali in serata si è unito il sito di un giornale online vicino al figlio riformista di Gheddafi, Seif al Islam, che ha ammesso 20 morti a Bengasi e sette a Derna, dove oggi si sono celebrati i funerali delle vittime di ieri.

Oggi ci sono stati morti anche in due prigioni dove i detenuti avrebbero approfittato della situazione instabile per scatenare una rivolta: sei sarebbero stati uccisi a Jadaida, nella capitale; numerosi sono invece riusciti a fuggire dalla prigione al-Kuifiya di Bengasi, ed hanno poi appiccato il fuoco all’ufficio del procuratore generale, a una banca e a un posto di polizia.

Poi, da un esule libico che vive in Svizzera, arrivano notizie simili ma con un punto di vista diverso. Al Baida e Derna sono ormai “due città libere” e “il potere è passato al popolo”, proclama Hassan Al-Jahmi – uno dei promotori della “Giornata della Collera” – ai sui circa 30.000 simpatizzanti su Facebook. E su Youtube un video amatoriale mostra incidenti a Tobruk, con un monumento di cemento al ‘Libro Verdè di Gheddafi, simbolo della sua rivoluzione, gettato giù dal suo piedistallo.

A Tripoli invece, per tutta la giornata la vita è andata avanti abbastanza normalmente. Gheddafi si è fatto vedere nel centro della città, nella Piazza Verde, dove è stato salutato con entusiasmo dai suoi sostenitori. Non ha parlato ma hanno parlato i comitati rivoluzionari: una risposta “violenta e fulminante” colpirà – hanno detto – gli “avventurieri” che protestano, e qualunque tentativo di “superare i limiti” si trasformerà in “suicidio”.