Venerdì 25 febbraio Muammar Gheddafi è emerso dal suo bunker semi-distrutto di Tripoli e ha parlato al suo popolo, o perlomeno a quella parte di popolo che ancora lo sta ad ascoltare.
In un discorso infarcito di dettami rivoluzionari e frasi patriottiche, il colonnello ha lanciato un appello per il ritorno all’unità del paese, per lottare contro i terroristi di al Qaeda e i cani infedeli dell’Occidente, avidi del petrolio della Libia, desiderosi di seminare caos e discordia per impadronirsi del territorio libico.
“Apriremo i depositi dell’esercito e daremo armi a tutta la popolazione – ha urlato Gheddafi alla folla che lo ascoltava invocando il suo nome – combatteremo per liberare la Libia dai maiali europei e americani e dai loro alleati libici, traditori che verranno eliminati senza pietà.”

Gheddafi incita i suoi partigiani pensando alle migliaia di rivoltosi che stanno convergendo su Tripoli da ogni parte del paese, con armi e carri armati, guidati dai generali e dai colonnelli che hanno disertato l’esercito. A loro si sono unite centinaia di soldati e ingenti forze di polizia, tutti “pronti a morire per liberare il popolo dalla dittatura di Gheddafi”.
In una capitale già sconvolta da sanguinosi scontri fra manifestanti e forze di sicurezza, la “battaglia di Tripoli” è attesa per domani, al più tardi per domenica e l’opinione è unanime: sarà un massacro in entrambi i campi.

Da Budapest, dove sono riuniti i ministri della Difesa dell’Unione europea, l’Alto rappresentante della politica estera dell’Unione, Catherine Ashton, ha dichiarato che l’UE prenderà al più presto misure finalizzate a porre fine alla repressione di Gheddafi, senza però precisare quali siano queste misure: se belliche o diplomatiche.