Dopo aver visto il programma “Annozero” giovedì scorso, dove invitato di Michele Santoro era il ministro italiano dell’economia Giulio Tremonti, c’è poco da meravigliarsi se le finanze italiane brancolano nella più fitta nebbia.
Il “professor” Tremonti resta fedele a sé stesso e ad Annozero ha parlato a vanvera menando il can per l’aia, sempre nella medesima povera aia, quella dell’auto compiacimento per aver ”salvato” e riportato in Italia 25 miliardi di euro di fiscalità, strappandoli ai fondi neri all’estero, soprattutto in Svizzera. Per impressionare il pubblico, il ministro è persino giunto a tradurre l’importo nel corrispondente in vecchie lire: 50mila miliardi di lire.
Tremonti si è però dimenticato di dire che quei 25 miliardi di euro, recuperati su diversi anni, sono nulla se confrontati alle centinaia di miliardi di euro che ogni anno vengono evasi al fisco italiano.
Un presunto exploit dunque, un gioiello finto oltre al quale Tremonti, durante tutta la trasmissione, non ha saputo esibire altro, a parte un’evidente incapacità di dialogare con chi ha opinioni diverse dalle sue e di spiegare le sue prese di posizione, assai prevenute.
Addirittura per difendere le sue indifendibili posizioni e spaventare chi osava aprire bocca, come il giovane studente intervenuto per protestare contro l’assenza dello Stato nell’aiuto a chi cerca un lavoro, Tremonti ha agitato il fantasma terribile della speculazione mondiale e di un’inarrestabile corsa dei paesi nord europei verso il fascismo.
Un atteggiamento da divo, il suo, un Tremonti petulante e presuntuoso come un bimbo di mamma sua, viziatello, stizzito oltre ogni misura da chi gli ha apertamente mostrato di non credere alle sue teorie, costruite a regola per giustificarsi e che nessuno sta più ad ascoltare, nemmeno all’estero.
Il ministro si è sicuramente beccato una doccia di quelle che più gelide non potrebbero essere, quando un imprenditore italiano, durante un’intervista trasmessa in studio, ha esaltato la Svizzera (paese che notoriamente lui ama poco) lodandone le infrastrutture amministrative e logistiche e la fiscalità indiscutibilmente vantaggiosa e assicurando di volersi trasferire con la sua impresa, come numerosi predecessori e altre società italiane che stanno pianificando di emularli.
Per concludere, un appunto sui due personaggi intervistati e presentati come funzionari dell’amministrazione cantonale ticinese. Sebbene le informazioni che hanno dato sulle possibilità per una ditta italiana di trasferire l’attività in Svizzera fossero corrette, quel che ha lasciato qualche dubbio è stata la loro “autenticità”, considerato il loro linguaggio e i loro modi che tradivano una provenienza diversa da quella del nostro cantone.
mogam