… che influsso avrebbe sui mercati e sugli equilibri politici una massiccia vendita di titoli in dollari USA da parte del Giappone ? ….

…. i paesi arabi sotto pressione stanno vagliando l’ipotesi di staccarsi dalla fatturazione del greggio in dollari…

Mi risulta terribilmente cinico tradurre in termini economici le conseguenze virtuali di una catastrofe come quella che ha colpito il Giappone.
Ormai piú nessuno menziona il terremoto neozelandese di poche settimane fa, seguendo peró i notiziari internazionali si può assistere all’affievolirsi dell’importanza della situazione giapponese ed a un riapparire insistente della crisi araba.

Propongo una breve analisi del panorama attuale da un punto di vista degli investimenti:
La crisi nipponica ha immediatamente causato un rafforzamento dello yen. Questo perché il paese del Sol Levante ha riserve internazionali invidiabili e si vede ora costretto a rimpatriarne una parte, comperando yen contro moneta estera.
Solo grazie alle importanti iniezioni di liquidità da parte della Banca centrale e all’intervento congiunto delle banche centrali dei G7 di venerdì scorso si è potuto arrestare il movimento rialzista. Ma ciò che più dovrebbe interessare a questo punto non è il tema yen, bensì sapere cosa stanno vendendo i giapponesi.
In altre parole, che influsso avrebbe sui mercati e sugli equilibri politici una massiccia vendita di titoli in dollari USA da parte del Giappone? Essendo uno dei tre paesi (insieme a Cina e Emirati Arabi) più impegnato in obbligazioni del Tesoro americano mi sembra ovvio che andrà a ridurre i suoi finanziamenti negli Stati Uniti per utilizzare i fondi nella ricostruzione.
Questo avviene in un momento poco propizio, visto che i paesi arabi sotto pressione stanno vagliando l’ipotesi di staccarsi dalla fatturazione del greggio in dollari e quindi anche loro non avranno più molti eccedenti in divisa nordamericana da prestare al governo di Obama.

I cinesi, dal canto loro, da mesi stanno tentando di diversificare i loro investimenti, sostituendo i Treasury bonds con investimenti diretti in società, terreni, minerali e metalli preziosi. Il Financial Times riporta addirittura che il governo avrebbe ordinato di non comperare più obbligazioni del Tesoro americano.
Con il terremoto viene a mancare il secondo maggiore alleato degli USA (dopo l’Inghilterra che a sua volta, poverina, sta soccombendo). Il Giappone accelererà la sua tendenza ad appoggiarsi alla Cina che – al contrario degli USA – si trova in piena espansione e dispone dei mezzi per aiutare la ricostruzione e la riattivazione economica.

Una conseguenza diretta del sisma sarà un’accelerazione dell’inflazione. Il trasferimento della produzione di energia elettrica dall’uranio ai combustibili fossili che senza ombra di dubbio vedranno i loro valori al rialzo; il mercato non se ne è ancora reso conto, ma sembra di aver capito che lo sviluppo delle energie alternative accelererà.
Anche le commodities alimentari subiranno un’ulteriore impennata, visto che la fascia costiera colpita era una delle zone più fertili del paese e non lo sarà più per numerosi anni. Come se non bastasse, la caduta della produzione di componenti elettroniche ha già aumentato i prezzi sul mercato internazionale.

A peggiorare le cose vi è la strategia di fabbricazione “just in time” – specialità giapponese – che vedeva le grandi ditte produrre senza stock di componenti, con le società partner che fornivano direttamente alla catena di montaggio le parti necessarie per il lavoro giornaliero. La riattivazione della produzione si potrà quindi ottenere solo quando tutte le società partner si saranno rimesse in piedi, con importanti ritardi quindi, che si tradurranno evidentemente in prezzi più alti per molti mesi.

Francesco Magistra, economista

(continua…)

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