Negli ultimi mesi le agenzie di rating statunitensi Moody’s, Fitch Ratings e Standard & Poor’s sembrano essere diventate ancora più potenti, spalleggiate da Wall Street e impegnate a decidere la sorte del debito pubblico dei paesi della Zona euro.
Dei mesi scorsi i downgrading di Irlanda, Grecia, Spagna e Portogallo da parte di Moody’s. Di due giorni fa un ulteriore downgrading di Portogallo da parte di Fitch Ratings.
Se non fosse a senso unico sembrerebbe uno scontro politico-economico in piena regola. A senso unico perchè le agenzie di rating attaccano e degradano, l’Unione europea incassa e sta a guardare.
Quando Standard&Poor’s ha declassato la solvibilità della Grecia al di sotto di quella dell’Egitto, l’unica reazione dell’UE è stata quella di proporre di rendere le agenzie di rating legalmente responsabili in caso di giudizio sbagliato.
Offese da questa reazione, le tre agenzie statunitensi hanno minacciato di non dar più voti ai paesi deboli come Grecia, Portogallo, Irlanda. Di fronte a questa minaccia Bruxelles ha battuto la ritirata e qualche giorno dopo Fitch ha provveduto a tagliare il Portogallo a BBB- , un livello che più basso è impossibile, dal precedente da A-.
Perché la minaccia delle agenzie americane ha spaventato i dirigenti di Bruxelles? Lo spiega Federico Rampini un contributo sul quotidiano italiano La Repubblica dello scorso 1. aprile:
“I voti delle agenzie di rating li pagano tutti i contribuenti europei – scrive Rampini – sotto forma di un rincaro dell’onere di rifinanziamento del debito pubblico. E’ un’ennesima prova dell’immenso potere di queste entità.
La loro storia accompagna fin dalle origini lo sviluppo del capitalismo moderno. E’ nel 1909 che il signor John Moody divenne il primo analista finanziario ad assegnare voti alle obbligazioni emesse da una categoria di imprese, le compagnie ferroviarie degli Stati Uniti. Nei decenni successivi la pratica si diffuse, allargandosi a dismisura in parallelo con la crescita e la complessità dei mercati finanziari.
Crac finanziari, scandali, insolvenze, consigliarono di rendere addirittura obbligatorio il rating per alcune categorie di investitori. Fino alla situazione odierna in cui il “triopolio” S&P, Moody’s e Fitch dà i voti ad ogni sorta di emittenti dei titoli che vengono collocati sui mercati finanziari: buoni del Tesoro, obbligazioni emesse da banche e aziende industriali.
Incollando delle sigle fatte di combinazioni di lettere (A, B, Aaa, ecc.) e di segni aritmetici (più, meno) ai debitori che emettono titoli, le agenzie pubblicano pagelle il cui impatto è cruciale. Tutti gli investitori del mondo si fanno in qualche modo guidare da quei voti, prima di decidere se comprare titoli e quale rendimento pretendere in cambio del rischio che si assumono.
Certi investitori istituzionali americani hanno il divieto di acquistare titoli al di sotto di un certo “voto”. Questo dà la misura dell’influenza delle pagelle.
La minaccia di non dare più i voti a Grecia, Portogallo o altri paesi europei a rischio è gravida di conseguenze: quegli Stati verrebbero disertati dai grandi investitori del mondo intero, rifinanziare il loro debito pubblico diventerebbe ancora più costoso, forse quasi impossibile.”