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Il PPD ha preso atto della risposta del Consiglio di Stato all’interrogazione di Gianni Guidicelli sull’esistenza di ditte ticinesi che pagano in euro i salari ai frontalieri. Nella risposta all’interrogazione, il Governo conferma che il diritto svizzero non impedisce di stipulare contratti di lavoro nei quali il salario è fissato in una moneta straniera.

È evidente come questa prassi sia estremamente nociva per il mercato del lavoro ticinese. Acuisce la pressione al ribasso dei salari e svantaggia l’impiego di personale locale. Questo non solo nell’ambito dell’artigianato, ma anche nel terziario (ad. esempio banche e fiduciarie).
È indispensabile bloccare sul nascere questa modalità che potrebbe diffondersi e svantaggiare ulteriormente i lavoratori ticinesi.

Il PPD – auspicando l’appoggio dei media e dell’opinione pubblica ticinese – lancia dunque un chiaro appello:
– agli amministratori e ai dirigenti d’azienda attivi sul mercato del lavoro ticinese, ad essere responsabili e rispettosi nei confronti della manodopera residente in Ticino, pagando il salario in franchi svizzeri.
– la pratica del “salario in euro” può essere arrestata sul nascere, anche e soprattutto per il tramite della responsabilità del singolo.

Il PPD invita inoltre il Consiglio di Stato e il Dipartimento responsabile ad affrontare subito il problema:
– sorvegliando con attenzione l’evoluzione della pratica per il tramite di tutti i servizi e gli strumenti a disposizione dello Stato;
– segnalando immediatamente la pratica agli altri Cantoni di frontiera e al Consiglio federale affinché si valutino quali provvedimenti legali possono essere utilizzati;
– esaminando la possibilità di inserire una normativa cantonale volta a vietare la pratica.