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Sin qui risparmiata dall’ondata delle proteste che scuotono il paese dalla metà di marzo, Damasco percepisce con crescente timore l’avvicinarsi della rivolta e gli effetti che stravolgeranno la vita della laboriosa capitale siriana.

I 4 milioni di abitanti di Damasco sono quelli che più degli altri si erano fidati delle parole del regime, il quale assicurava che la situazione era sotto controllo e che la crisi stava terminando. Questo accadeva due settimane fa e da allora le rivolte e la repressione dei manifestanti da parte delle forze armate sono andate crescendo.
A Damasco gli eventi culturali sono stati per la maggior parte cancellati perché la sera molte persone preferiscono non attardarsi fuori casa. Le sanzioni imposte da Stati Uniti e Unione europea isolano ancora di più il paese ed hanno già causato la chiusura di diverse aziende. Molti commercianti hanno anticipato la crisi e hanno ridotto gli effettivi.

Il governo siriano ha denunciato le sanzioni internazionali come un’ingerenza negli affari interni del paese. Vi sono ancora molti siriani che pensano che il presidente al Assad desideri cambiare la situazione e che gli si dovrebbe dare il tempo di agire. Secondo queste persone la repressione dei manifestanti è opera di agenti mandati da Libano e Arabia saudita per minare il governo siriano.

Da due settimane migliaia di siriani lasciano il paese e cercano rifugio in Libano soprattutto passando dai valichi illegali. Chi non ha una famiglia o conoscenti si è installato nei campi profughi allestiti dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.