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L’opposizione yemenita accusa il presidente Ali Abdallah Saleh di aver consegnato la città di Zinjibar, nel sud del paese, al movimento terrorista di al Qaeda, con lo scopo di distogliere l’attenzione dalla contestazione politica.

Un’accusa che richiede prudenza. Innanzitutto si deve verificare se tutti i militari presenti a Zinjibar siano effettivamente militanti di al Qaeda, in quanto da diversi mesi diversi gruppi jihadisti si sono installati nella regione e non per forza sono affiliati a questo movimento.
La regione di Zinjibar è bombardata dall’esercito yemenita con il pretesto che vi si nascondono, protetti dalla popolazione, militanti del gruppo terrorista. Che in questo vi siano le manovre manipolatorie del presidente Saleh non è da escludere: infatti già in passato ha usato la carta di al Qaeda per criminalizzare l’opposizione.

Gli oppositori al regime sostengono che i militanti di al Qaeda che avrebbero preso d’assalto la città di Zinjibar sono pagati dai servizi della sicurezza politica.
Non è facile sapere se questo sia vero o meno, ma quel che è certo è che la rivolta nello Yemen è diventata una guerra di intensa propaganda attorno alla minaccia del terrorismo islamico, il che permette a Saleh di spaventare sia l’Arabia Saudita – i cui emissari sono alla ricerca di una soluzione alla crisi – sia gli Stati Uniti – che hanno più che raddoppiato il loro aiuto militare allo Yemen per rinforzare la lotta al terrorismo (250 milioni di dollari nei primi cinque mesi di quest’anno, contro i 150 milioni di dollari del 2010).
L’Arabia Saudita aveva versato 700 milioni di dollari al regime yemenita in cambio di maggiori controlli alle frontiere.

La carta di al Qaeda va a pieno vantaggio di Saleh e in un certo senso “giustifica” la sua intenzione di restare al potere. Così come giustifica la mancanza di reazione da parte occidentale di fronte alla sanguinosa repressione dei manifestanti.
Nulla garantisce che Saleh esca vittorioso dal caos in cui si trova oggi lo Yemen. Contro di lui ci sono l’opposizione, i capi delle potenti tribù e gran parte della popolazione. Il presidente deve inoltre fare i conti con l’abbandono di figure importanti dell’esercito. Senza dimenticare che l’opposizione sta facendo un lavoro intelligente, cerca di prevenire il ricorso alla violenza e va oltre le differenze regionali, tribali ed ideologiche attraverso un forum comune che riunisce i diversi rappresentanti del paese: i giovani, i partiti politici, i gruppi tribali, i movimenti minoritari.
Saleh continua a provocare i manifestanti per poter fare ricorso alla violenza, esacerbare gli animi e poter agitare la minaccia di una guerra civile, che oltre a essere destabilizzante per il paese sarebbe dannosa per l’intera regione.
La sua è la strategia del caos, è pericolosa e a lungo andare potrebbe rivoltarsi contro di lui.

(Fonte: Le Nouvel Observateur)