La Bielorussia, guidata da 17 anni dal pugno di ferro del dittatore Alexander Lukashenko, ha chiesto al Fondo monetario internazionale un “credito di stabilizzazione” da 3.5 a 8 miliardi di dollari, su un periodo da 3 a 5 anni.
Per avere un’alternativa in caso di rifiuto, conscio dell’opposizione che solleva in Occidente, il governo di Minsk ha anche chiesto un prestito di circa 3 miliardi di dollari alla Comunità economica euro-asiatica, che raggruppa diverse ex Repubbliche sovietiche, fra cui la Russia. La decisione finale riguardo a questa richiesta verrà presa sabato 4 giugno.
Il Financial Times argomenta che l’FMI dovrebbe assicurare a Lukashenko il credito richiesto prima che il prestito venga concesso dalla Comunità economica euro-asiatica.
Il quotidiano inglese rammenta che in occasione di una precedente richiesta il governo russo aveva subordinato la concessione di aiuti a precise condizioni: la vendita alla Russia dei gasdotti bielorussi, la vendita di due raffinerie di greggio, del maggior operatore di telefonia mobile del paese e di un’azienda produttrice di carbonato di potassio. Vendite che se realizzate metterebbero la Bielorussia sotto l’influenza geostrategica ed economica del governo moscovita.
“Il regime dittatoriale di Lukashenko non durerà in eterno – si legge sul FT – e, sul lungo termine, i paesi occidentali hanno interesse a sostenere la libertà della Bielorussia. Un programma del Fondo lanciato e messo in opera correttamente potrebbe contribuire a questo obiettivo.”