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La recente visita del premier israeliano Benyamin Netanyahou negli Stati Uniti ha occultato la posta in gioco economica delle relazioni israelo-americane.

Nel 2003 gli Stati Uniti avevano prestato a Israele 9 miliardi di dollari per sostenere il programma di liberalizzazione del governo. A causa del blocco del processo di pace Israele può temere pressioni finanziarie da parte del governo di Washington.
Il prossimo ottobre giungeranno a scadenza le garanzie bancarie accordate nel 2003 e il governo di Tel Aviv si chiede se sia opportuno chiederne il rinnovo: non sarebbe la prima volta che gli americani potrebbero usarle come mezzo di pressione per ottenere concessioni da parte dello Stato ebraico.

Per Israele il vantaggio di queste garanzie è doppio. Da una parte permettono di chiedere prestiti a costi minimi sul mercato internazionale vendendo obbligazioni di Stato. Il rischio per chi concede il prestito è nullo in quanto il rimborso è garantito dal Tesoro americano.
Dall’altra parte la concessione di una garanzia, anche se non viene concretamente utilizzata, migliora la nota finanziaria israeliana rafforzando la fiducia degli investitori stranieri.
In diverse occasioni il ministro israeliano delle Finanze Youval Steinitz ha dichiarato che Israele può fare a meno delle garanzie statunitensi e sul piano strettamente finanziario avrebbe ragione: oggi Israele ha 75 miliardi di riserva in diverse divise. Ma si tratta di proclami destinati a rimanere teoria in quanto sul piano politico e diplomatico la situazione è ben diversa.

Malgrado il presidente Barack Obama sia dichiaratamente ostile alla politica di Netanyahou nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, il premier israeliano non si può staccare dalla Casa Bianca. A livello nazionale ed internazionale per Tel Aviv è importante ricevere segnali pubblici di sostegno da parte di Washington.
Inoltre, in caso di pace con i palestinesi le garanzie americane sarebbero necessarie per finanziare il ritiro israeliano dalla Cisgiordania e per edificare gli alloggi necessari agli oltre 80mila ebrei che verrebbero spostati.

(Fonte : israelvalley.com)