Barack Obama, premio Nobel per la Pace nel 2009 per “il suo lavoro nel rafforzare la diplomazia internazionale e la collaborazione fra i popoli” ha decretato il ritiro dall’Afghanistan di un importante contingente entro il prossimo anno.
E’ dalla sua entrata alla Casa Bianca che Obama si dice tormentato dall’enorme sperpero di soldi per finanziare due guerre all’altro capo del mondo (Iraq e Afghanistan) mentre gli Stati Uniti combattono contro una devastante recessione economica.


Un tormento che sta per giungere alla fine : dopo il ritiro delle truppe dall’Iraq lo scorso anno, altri 33mila soldati lasceranno l’Afghanistan entro l’estate 2012. Un ritiro che non piace allo Stato maggiore americano (il Pentagono ha sempre spinto per un ritiro graduale) ma che il presidente giudica necessario e in linea con la sua volontà di usare le risorse finanziarie per ricostruire la nazione.

Dietro alla decisione di Obama c’è un preciso calcolo politico in vista della campagna elettorale per le presidenziali del prossimo anno.
Un recente sondaggio dell’istituto Pew Center rivela infatti che il 56% degli americani vorrebbe il rientro in patria dei soldati impegnati sul fronte medio orientale e Obama intende tenere in considerazione il crescente scetticismo dei suoi compatrioti riguardo al ruolo di gendarme internazionale degli Stati Uniti.
Obama sa bene che il ritiro delle truppe sarà giudicato negativamente dalla sinistra liberale ma perlomeno gli varrà l’appoggio della base democratica.

Dal suo inizio, nel 2001, la guerra in Afghanistan è costata agli Stati Uniti quasi 1’000 miliardi di dollari e il presidente ritiene che l’indebolimento della potenza economica americana sia un rischio maggiore del rischio che comporta un ritiro accelerato dall’Afghanistan.
Oltre che politiche, le sue motivazioni sono anche di ordine militare. Obama vuole riuscire a contenere la portata della minaccia talebana e obbligare i capi talebani al dialogo.
Spera che il mantenimento di un contingente di 68mila soldati dopo l’estate 2012 sarà sufficiente per assicurare il passaggio del controllo del paese all’armata afgana. Come detto, lo Stato maggiore americano giudica rischiose le manovre del presidente e non le approva, ritenendo che togliere oltre 30mila uomini dal terreno metta in pericolo la vita dei 68mila soldati che resteranno, compromettendo al contempo la sopravvivenza del governo di Kabul.

Semmai in Afghanistan i talebani riusciranno ad avere la meglio, Obama verrà ricordato come colui che ha sabotato gli sforzi intrapresi sin dal 2001 e i pesanti sacrifici in vite umane. La Casa Bianca potrebbe inoltre trovarsi in difficoltà in Pakistan, se dalle sue basi afgane non potrà più lanciare le campagne di droni sulle zone tribali pachistane.

(Fonte: Le Figaro/New York Times)