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Ci vuole una gran pazienza per chi come me vede nel PLRT la forza politica che, per natura, incarna meglio di ogni altra una visione liberale della nostra esistenza, nell’osservare il ripetuto incespicare di un’organizzazione politica dal passato glorioso, che oggi si propone con un modo al limite del comprensibile.

Sarà forse la rarefazione di figure personali con un minimo di carisma; sarà forse, pure, la difficoltà di coprire, appunto, con un’azione politica efficace il tormentone noioso e spesso patetico degli opposti estremismi interni. Sta di fatto che il PLRT ha fatto notizia, in questi ultimi tempi, soprattutto per le cacofoniche esternazioni di alcuni suoi noti tromboni (del tipo di quelli, per intendersi, che si esprimono in plurale majestatis), che per le sue azioni vere e proprie.
Ci sarebbe da sbellicarsi dalle risate, se non fosse che a soffrirne è stata, ed è tuttora, la qualità della politica nel senso più ampio, non certo solo quella liberale.

C’è voluta una gran dose di pazienza, dicevo, e chissà quanta ancora occorrerà averne. Il mio auspicio è che si possa presto coagulare attorno alla Consigliera di Stato Laura Sadis, il vero e forse unico faro, oggi, di quella sapiente e apprezzata azione politica di cui il PLRT è da sempre espressione, un approccio più costruttivo e condiviso su ciò che è utile e urgente intraprendere per la nostra società, la nostra economia, il nostro mondo del lavoro, i nostri giovani, ecc.
Una ancor più grande dose di pazienza c’è voluta, ci vuole e chissà quanta ce ne vorrà ancora per sorbirsi, attorno al PLRT, le osservazioni e le note critiche, sapute, dotte e spesso al limite della stravaganza proposte da questo o quel commentatore apolitico, aconfessionale, laico, libero pensatore o semplice e casuale passante.

Più che la pazienza, a volte ci vuole proprio uno stomaco forte, per digerire certe velenose disquisizioni sugli errori fatti dal nostro oramai ex partito di maggioranza relativa e guida del cosiddetto Paese e su ciò che occorrerebbe fare per tornare a renderlo attrattivo.
Vista e considerata la forza politica che ha stravinto le ultime elezioni cantonali, la Lega dei Ticinesi, oggi sembra sempre più spesso di assistere a ciò che Ennio Flaiano definì, con felicissima intuizione, la corsa in soccorso dei vincitori; definizione elegante del più bieco conformismo appiccicoso e qualunquista da parte dei mediocri.

Passi per coloro, come vari esponenti di Lega e UDC ad esempio, che giustamente si adoperano per raggranellare i delusi del fu partitone, per poi tracimare nel loro travolgente successo. È più che comprensibile e per certi versi anche giusto.
Passi pure per i più irrequieti lettori dei nostri quotidiani che, spinti probabilmente da irrefrenabile bisogno compulsivo di comunicare al mondo le proprie filosofiche considerazioni, ci propinano le loro verità, spesso al limite dell’assurdo, nelle rubriche della posta dei lettori.

Anch’io sono oggi fra questi, anche se solo con intento sporadico e occasionale.
Se ho deciso di esternare anch’io, almeno per una volta, è perché mi ha stupito molto negativamente il breve articolo di Franco Ambrosetti, jazzista stimato e presidente della Camera di commercio, che il CdT ha pubblicato alcuni giorni fa.
Ambrosetti, generalmente signorilmente rispettoso nei confronti di tutti, se la prende con il PLRT con un piglio che non gli è proprio, definendo, ad esempio, “meschini” i pretesti morali con cui il detto partito si sarebbe incertamente proposto attorno al segreto bancario (?) e accusandolo di “totale indifferenza” verso la “revisione dei compiti dello Stato” e la conseguente (?) riduzione dell’organico cantonale.
Per finire, denuncia “l’assenza di un’idea di politica economica globale, perché manca un disegno strategico, un progetto liberale di largo respiro che affronti i reali problemi economici del Cantone”.
Bene, può darsi che non abbia torto su alcuni punti; anche se la scusa della mancata revisione dei compiti dello Stato richiederebbe qualche impegno di più, sotto il profilo del concreto e realizzabile. Ciò che mi ha infastidito di più, considerati anche i miei lunghi anni alla direzione dell’associazione degli industriali e dell’impegno parlamentare nelle fila del PLRT, è la totale assenza di senso autocritico da parte dell’amico con cui ho sovente collaborato in passato.

Ambrosetti dice che le proposte di riforma sue e della Camera non hanno mai ricevuto risposta dal PLRT degli ultimi anni.
Ma quale altro partito, caro Franco, ti ha dato risposte migliori? Sarà un caso, ma nei vent’anni in cui ho diretto l’AITI (fino a due anni fa, non un secolo fa), il PLR (nazionale e cantonale) è stato l’unico partito, sottolineo l’unico, che ha sempre condiviso e appoggiato, ma proprio sempre (ho la statistica stampata in mente), la posizione degli imprenditori, ad es., nelle votazioni popolari su temi di rilevanza economica.
Ti danno più sicurezza i socialisti del no al salario al merito, del no alla riforma della cassa pensione dello Stato e del no carbonaro all’approvigionamento energetico delle nostre imprese? I Lega-Udc che sbeffeggiano i lavoratori frontalieri (e chi li impiega) che sono il cardine di mezza economia cantonale? I Ppd e i Verdi in salsa leghista, il nuovo che avanza? Gli indipendenti-saltafosso?
Ti sarebbe bastato un pò il solo guardarti attorno, per capire ciò che dico.

Non vedo grande raziocinio nel, da un lato, pagare “lobbysti” camerali incaricati di interloquire con la politica federale e lombarda e, dall’altro lato, fustigare i migliori (o meno peggio, se vuoi) esponenti politici di coloro che vorresti ti capissero meglio.
Nei tempi in cui ci proponevamo in fondo le stesse cose, c’era ancora il metodo, mio e dell’AITI di allora, che prediligeva il sedersi al tavolo con tutti, belli e brutti, gli esponenti istituzionali della politica e con tutti i partiti, sottolineo tutti, per cercare di intendersi vicendevolmente su cosa significava fare economia. Spesso, per non dire quasi sempre, ci si intendeva davvero. Erano veramente pochi gli esclusi da questa forma di dialogo. Era l’altro giorno, non sono passati anni. Secondo la mia esperienza non si è mai raggiunto un granché, nell’esprimersi a nome dell’economia, a forza di soli comunicati stampa o articoli sul giornale; almeno in Svizzera o dalle parti di Bellinzona.

È questa la storia che hanno scritto il Vorort (oggi economiesuisse), l’Unione svizzera degli imprenditori e le organizzazioni economiche regionali quali l’AITI e la Camera.
Forse è meglio tornare a tecniche più sperimentate, anche se meno alla moda di questi tempi.
Penso dia più soddisfazione a chi le interpreta in termini di sana e onesta lobby e, di sicuro, più produttivo della sola critica fine a se stessa.
Sia per l’economia, che potrà dire di aver fatto di tutto per farsi capire e per far condividere le sue giuste tesi, che per la politica che, credimi per averla io frequentata un pò, spesso non aspetta altro che comprendere cosa occorra ai suoi amministrati.
Anche gli imprenditori industriali, che frequento oggi come consulente aziendale, non ne possono più, e tanti altri come me, dell’abbruttimento e della mediocrità in cui stiamo precipitando.
Sarebbe veramente utile e bello veder rappresentata con meno superficialità i loro giusti interessi attorno alla politica.

Sandro Lombardi
consulente aziendale