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di Beat Kappeler, economista

«Siamo giunti al punto di non ritorno keynesiano» . Questa frase riassume un’intera epoca e nello stesso tempo proclama la sua fine. Oltrepassa di molto la politica economica attuale, andando più in là delle vecchie ricette ancora vigenti dell’economista inglese John Maynard Keynes, d’incentivare la domanda con disavanzi statali.
La frase implica ancora di più, si potrebbe forse dire: è la fine di una mania di fattibilità politica e sociale. Non c’è un «ritorno della politica». La politica non ha più soldi.
La frase proviene da Tony Crescenzi, economista di PIMCO, il fondo d’investimenti più grande del mondo. Crescenzi si è espresso in tal modo nel giugno del 2010, riferendosi esplicitamente alla politica economica, delle finanze e del fisco. Ma se gli interventi e le spese dello Stato sono esauriti, è finita anche per lo Stato, che interviene preventivamente e premurosamente nel mondo dei cittadini.
I debiti si rinviano alla prossima istanza.

Nelle due crisi finanziarie dal 2008, cioè nella crisi bancaria e in quella dell’euro ancora in corso, si sono spostati i debiti dal basso verso l’alto, da un livello di bilanci al prossimo. I debiti dei proprietari di case negli USA, in Spagna, Irlanda, Portogallo sono finiti nelle banche, che a loro volta erano indebitate e che furono salvate dallo Stato – a quel punto erano gli Stati ad avere debiti. Ma questi, con il ruolo di buon’anima assistenziale, già prima si erano inabissati nei debiti, che sono diventati definitivamente insostenibili con l’aggiunta di quelli nuovi assunti dall’ambito delle finanze.
Perciò le banche centrali hanno comperato i pacchetti di crediti marci dalle banche e i debiti obbligazionari dagli Stati. Così i debiti, dai bilanci degli Stati, si sono trasferiti verso l’alto in quelli gonfiati delle banche centrali.
Per proteggere gli Stati e le banche centrali è intervenuto il Fondo monetario internazionale FMI, decuplicando i suoi mezzi d’intervento. E lo ha fatto proprio con le garanzie dei paesi membri già indebitati. Debiti greci e irlandesi sono già finiti presso il FMI e quelli d’altri Stati seguiranno. Dietro il FMI non c’è però nessun altro bilancio, che potrebbe assorbire i debiti. Il punto di non ritorno degli interventi, dei finanziamenti transitori, delle incentivazioni è raggiunto.

I debiti statali hanno raggiunto un importo, i disavanzi una cadenza, gli interessi una misura che nessuna crescita delle economie nazionali potrebbero più raggiungere, finanziare o perfino regolare. La serie d’interessi composti della crescita e dell’indebitamento si allontanano l’una dagli altri secondo una logica matematica, i debiti più in fretta, le economie nazionali più lentamente. Se si includono nel calcolo anche le scadenze dei sistemi delle pensioni in favore degli anni del «Baby-Boom», allora praticamente tutti i principali Stati occidentali sono fallimentari. Possibili eccezioni sono solo il Canada, la Svezia, la Svizzera, l’Australia e la Norvegia.

Ma gli esperti dell’agenzia Standard & Poor’s vedono un filo di speranza – gli Stati possono cambiare rotta risparmiando. Ma cosa significa risparmiare? Risparmiare significa la fine delle garanzie totali dello Stato centrale per ogni vicissitudine nella vita della cittadinanza. Significa la fine del sostegno continuo della domanda. A partire dal 1945 gli Stati hanno istituito assicurazioni obbligatorie per queste situazioni della vita. Assicurazioni che però, o sono state mal concepite sin dal principio, o i politici hanno addossato loro sempre nuovi compiti insostenibili che venivano in seguito integrati nei bilanci statali. L’aspetto assicurativo (la «A») della previdenza sociale fu abbandonato; la ridistribuzione dei soldi provenienti dalle imposte era una pretesa eccessiva, in primo luogo per i mezzi fiscali a disposizione, poi per i bilanci statali e infine per la solvibilità dello Stato. I disavanzi delle economie domestiche si sono mutati nel disavanzo strutturale dello Stato. Si è raggiunto il punto di non ritorno.

(Fonte: Discorso libero, 2/2011 – www.zeit-fragen.ch)

(continua)