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Da mesi il valore delle valute straniere nei confronti del franco continua a scendere. Venerdì scorso 1 euro valeva 1.0960 franchi e 1 dollaro USA valeva 0.767 franchi.
Nel 2010, quando già l’euro perdeva valore, la Svizzera aveva importato materie prime e beni di consumo per 174 miliardi di franchi. Di questi, 122 miliardi circa provenivano da paesi della Zona euro, mentre circa 10 miliardi dagli Stati Uniti
.

Malgrado il basso valore della moneta estera i prezzi dei beni importati non sono diminuiti.
Restano invariati perché i fornitori stranieri, gli importatori e i commercianti svizzeri non fanno beneficiare il consumatore finale degli utili di cambio. Per il 2011 gli utili derivanti dal cambio favorevole sono stimati in circa 6 miliardi di franchi.
Molto significativa è la segnalazione dell’Ufficio federale di statistica: fra il luglio 2010 e il luglio 2011 i prezzi applicati in Svizzera per i prodotti importati dalla Zona euro sono globalmente scesi dello 0.3%.
Nello stesso periodo, nei confronti dell’euro il franco ha guadagnato oltre il 20%.

L’ex Mister Prezzi Rudolf Strahm aveva ripetutamente chiesto che la Comco, la Commissione della concorrenza, prendesse misure efficaci contro gli accordi verticali sui prezzi (ossia, quando un produttore straniero impone a tutti i commercianti svizzeri di richiedere lo stesso prezzo ai consumatori finali).
Accordi tollerati malgrado fossero vietati dalle disposizioni vigenti.
Anche l’attuale Mister Prezzi Stefan Meierhans chiede alla Comco di essere più incisiva nell’imporre il rispetto dell’esistente legge sui cartelli.

Sino a poco tempo fa, il Consigliere Federale responsabile delle Finanze, Johann Schneider-Ammann, era dichiaratamente tollerante verso il non rispetto della legge sui cartelli. Adesso si dice invece preoccupato dell’evoluzione della situazione e ha deciso di porre pressione sulla Comco.
Ci si chiede se le “focose” ma tardive dichiarazioni d’intenti di Schneider-Ammann avranno un effetto prima che tutti i buoi avranno lasciato la stalla.
Di questo passo non gli resta che stare a guardare gli importatori riempirsi le tasche con la differenza del cambio ed assistere alla perdita di posti di lavoro causata dalle difficoltà dell’export.
E’ comunque una situazione che dura da molti anni. Fra gli esempi più eclatanti vi sono il petrolio e i capi d’abbigliamento dall’Estremo Oriente. Adesso però è diventata di grande emergenza e ad alto rischio: occorre dunque agire alla svelta!

(Redazione/NZZ am Sonntag)