Risanamento, raddoppio, isolamento: la discussione sulla prospettata chiusura del tunnel autostradale del San Gottardo – che nei piani della Confederazione incomberebbe tra meno di 10 anni – sta sollevando in Ticino una serie di interrogativi che una parte del mondo politico tenta maldestramente di risolvere con risposte in parte manifestamente impraticabili, per non dire ingannevoli.

Senza ripercorre tutta la serie di argomenti inerenti ad una questione dai mille risvolti, è tuttavia importante ritenere alcuni elementi che troppo spesso vengono dimenticati.
Contrariamente a quanto molti sono portati a pensare, degli oltre 6 milioni di veicoli che annualmente transitano attraverso il tunnel del San Gottardo, la gran parte è traffico con destinazione e/o partenza svizzera. Il traffico in transito rappresenta soltanto il 27% (!).
Chiudere il San Gottardo significa dunque ostacolare giornalmente quasi 17’000 veicoli che in massima parte sono legato, in un modo o nell’altro, all’economia svizzera e ticinese.

Il discorso si può estendere anche al trasporto delle merci. Sebbene la ferrovia sia all’origine di circa 2/3 del totale dei trasporti di merci attraverso le Alpi, è sulla strada che scorrono la maggior parte delle spedizioni necessarie all’economia locale: sono complessivamente 3,6 milioni le tonnellate di merci con destinazione e/o partenza elvetica all’anno. Sulla ferrovia per contro si trasportano “solo” 2,7 milioni di tonnellate.

Chiudere il San Gottardo significherebbe dunque ostacolare l’economia ticinese, lei cui sorti dipendono da collegamenti stradali affidabili ed efficienti con il resto della Svizzera e del nord dell’Europa.
Queste poche cifre dimostrano quanto la tematica sia delicata e decisiva per le sorti del nostro Cantone, della nostra economia e dei nostri posti di lavoro.
La discussione non deve assolutamente prestarsi a giochi politici e men che meno finalizzata ad imporre modelli ideologici avulsi dalla realtà. In questo contesto le proposte della Confederazione per far fronte alla chiusura di almeno 900 giorni (!) non sono altro che fumo negli occhi che di certo non contribuiscono a rassicurare gli operatori economici ticinesi di tutti i settori (industria, turismo e commerci) comprensibilmente preoccupati.

Deviare il traffico sulle vie alternative – in primis sulla tratta del San Bernardino – è improponibile e non costituisce un’opzione, come hanno ampiamente dimostrato le diverse chiusure della tratta del Gottardo nell’ultimo decennio.
Non solo la Mesolcina vedrebbe confluire il traffico sulle sue strade strette, in pendenza e soggette a importanti nevicate, ma anche altri passi attraverso le Alpi grigionesi e vallesane diverrebbero attrattivi sia per il traffico merci che per i turisti. Alpi che, paradossalmente, dovrebbero essere al centro delle attenzioni di stampo ambientalistico dei contrari al raddoppio.
Cosa dire poi delle misure fiancheggiatrici con cui si intenderebbe limitare i disagi della prospettata chiusura della galleria. Con l’ausilio di piattaforme di interscambio ai portali dei tunnel ferroviari (Biasca e Erstfeld) ci vorrebbero far credere che è possibile trasferire merci e persone su treni-navetta tra nord e sud delle alpi.
Senza entrare nel merito di questa palese utopia – oggi con la galleria in funzione si accodano regolarmente oltre 10 km di veicoli davanti ai portali, facile immaginare cosa succederebbe se questi dovessero essere anche caricati ad uno ad uno su un treno – sono fuori da ogni contesto del buon senso le proporzioni che emergono se si analizzano i costi di queste misure.
A dipendenza delle varianti si passa dai 650 milioni di franchi (per la variante che prevede la chiusura per due anni e mezzo consecutivi) a oltre un miliardo (!) per varianti che suddividerebbero su più momenti i lavori di risanamento.
Costi, beninteso, non per risanare il traforo esistente ma unicamente per la messa in piedi di un sistema provvisorio di misure che mitigherebbero (in modo del tutto marginale) i gravissimi danni a cui il Ticino e la Svizzera andrebbero comunque incontro. Cifre folli se si ricorda che la Confederazione ha stimato, solo pochi anni fa, i costi per la costruzione di una seconda galleria a 1,1 miliardi (poi stranamente lievitati a 2 miliardi).

Mi auguro che questi pochi spunti di riflessione possano bastare per inquadrare la situazione. L’evidenza permette legittimamente di affermare che i politici ticinesi che oggi si oppongono ad una soluzione pragmatica per evitare l’isolamento – perché di isolamento si tratterebbe – del nostro Cantone non solo difettano di buon senso (e uso un eufemismo), ma non tutelano gli interessi né dei cittadini, né della nostra economia e dei posti di lavoro ma nemmeno, in ultima analisi, della tanto osannata protezione delle Alpi.
Per quanto mi concerne, non esiterò dunque a continuare a battermi con vigore per la realizzazione del secondo tubo della galleria della San Gottardo, unica soluzione seria e praticabile per evitare l’isolamento del Ticino.


Fabio Regazzi
Candidato per il PPD al Consiglio Nazionale