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Il 20 settembre Standard & Poor’s aveva tagliato la nota della capacità dell’Italia di far fronte al debito. Il 5 ottobre anche Moody’s lo aveva fatto. E se ancora non fosse chiaro, ecco che il 7 ottobre anche Fitch Ratings aveva tagliato il rating italiano.
Il 22 settembre Moody’s tagliava il rating di tre grandi banche americane: Bank of America, Wells Fargo e Citigroup.
Il giorno prima Moody’s aveva tagliato il rating della Fiat. Il 16 settembre questa stessa agenzia aveva messo sotto osservazione il rating di UBS. Il 14 settembre aveva minacciato il taglio della nota sul debito spagnolo. Il 12 settembre aveva preso di mira alcune grandi banche francesi. Il 5 agosto Standard & Poor’s aveva declassato la nota sovrana degli Stati Uniti.
Eccetera, eccetera.

Moody’s. Fitch Ratings. Standard & Poor’s. Mai come in questi mesi si era sentito tanto parlare di queste tre agenzie, tutte statunitensi, sicuramente al primo posto fra le istituzioni più odiate al mondo.
Esistono da molto tempo, dai primi anni del 20esimo secolo.
La loro attività “dovrebbe” consistere nell’analizzare la finanza, i titoli azionari e le obbligazioni.
“Dovrebbe”, in quanto sembrano avere un altro passatempo, ossia declassare a ruota libera la nota sovrana degli Stati e delle banche, prevalentemente in Europa.
Con conseguenze deleterie: crollo dei titoli in Borsa, timori di recessione, licenziamenti, crisi di governo, denunce agli enti superiori, summit d’urgenza di G2, G7, G8, G20, BCE, FMI, UE, …

Sembrano minacciose queste agenzie. Forse lo sono. Come faceva notare qualche tempo fa un cabarettista tedesco, Chin Meyer, basterebbe soffermarsi sui loro nomi per considerarle sotto un’ottica più leggera e, in definitiva, meno drammatica.
Standard & Poor’s (poor’s : dei poveri). Moody’s (che più o meno significa “di qualcuno lunatico”).
E poi c’è Fitch Ratings. Rating è valutazione, d’accordo. E Fitch? Non si capisce bene cosa significhi. Forse (forse) è un acronimo di Fucking bITCH.

B. Ravelli