Lo slogan che utilizzo in questa campagna elettorale è “Il futuro parte dalle nostre radici”: significa che se vogliamo dare un futuro al nostro Paese, non possiamo assolutamente prescindere dalle nostre tradizioni e dai valori che hanno fatto grande la Svizzera.

In questi giorni, una persona mi ha fatto notare che, a suo dire, anche la Svizzera nasconde numerosi scheletri nell’armadio e che in passato non siamo stati così tanto santi come vogliamo far credere.
L’osservazione mi ha riportato alla mente un saggio che ho avuto il piacere di leggere alcuni anni fa: si intitola “Neutrale contro tutti. La Svizzera nelle guerre del ‘900”, di Jean-Jacques Langendorf.
Questo saggio, il cui titolo è sicuramente più suggestivo nella versione originale (“La Suisse dans les tempêtes du XXe siècle”), rimette il campanile al centro del villaggio e riabilita una generazione di persone troppo a lungo mortificata dai pionieri dell’antisvizzerismo, Max Frisch e Friedrich Dürrenmatt in primis, che erano arrivati a farci vergognare dei nostri padri e nonni.
L’autore infatti ristabilisce la verità di quanto successo tra il 1914 e 1918, con la Svizzera che si era trovata impreparata agli eventi della Grande Guerra, ma che aveva saputo in seguito trarre le dovute lezioni; e tra il 1939 e il 1945, dimostrando che il nostro Paese aveva pienamente rispettato i ruoli che si impongono ad una nazione neutrale in tempo di guerra e smontando tutto il castello di accuse costruito dai già citati Frisch e Dürrenmatt prima e da altri pennivendoli in seguito.

Innanzitutto, il paragone con altri Paesi europei neutrali nel secondo conflitto mondiale è illuminante: la Svezia, ad esempio, autorizzò numerosi passaggi di truppe tedesche sul suo territorio, cosa che la Svizzera non fece mai. Il nostro esercito poi fu anche “neutrale” nel numero di abbattimenti di aerei stranieri che avevano sconfinato nei nostri cieli: nel giugno 1940 vennero abbattuti 11 aerei tedeschi, nel luglio 1941 vennero abbattuti due aerei inglesi sopra il Vallese.
In totale, vennero abbattuti o costretti all’atterraggio 25 aerei, 12 tedeschi e 13 alleati. Chiaramente, essendo costretta nella morsa dell’impero germanico e dei paesi suoi alleati, la Svizzera doveva garantire la propria sopravvivenza commerciando sia con gli Alleati che con i paesi dell’Asse. Falsa è l’accusa che i commerci svizzeri con la Germania avrebbero allungato notevolmente la guerra; essi rappresentano infatti una misera percentuale sul totale dei commerci intrattenuti dal Reich con gli altri stati.

Il saggio di Langendorf non nasconde che vi siano stati errori da parte del nostro Paese e dei politici dell’epoca, ma sottolinea la mancanza di realismo di alcuni accusatori del giorno d’oggi non coscienti della situazione del tempo, che parlano lontano dalle minacce, dai pericoli e da un tipo di pressione che ora non possiamo nemmeno immaginare.
Per questo vengono rivalutati in particolare alcuni Consiglieri federali dell’epoca: Marcel Pilet-Golaz, grande statista fedele ai concetti di neutralità ed indipendenza, Rudolf Minger, di cui viene sottolineata la grande rettitudine e il contributo nell’elezione di Henri Guisan a generale dell’esercito, e Giuseppe Motta.
L’autore affronta anche il tema dei fondi ebraici e del clamore che hanno suscitato negli anni ’90 i violenti attacchi del senatore repubblicano Alfonse D’Amato in combutta con Edgar Bronfman (grosso finanziatore della campagna elettorale di Bill Clinton) e col Consiglio mondiale ebraico, subiti passivamente o quasi da una Svizzera debole e remissiva. Qui si aprirebbe un ulteriore capitolo di un tema troppo spesso visto da un’unica prospettiva, grazie anche ad alcuni media svizzeri che si sono adoperati per far nascere un nuovo senso di colpa nella popolazione elvetica.

In conclusione, le nostre radici non sono così marce come troppo a lungo hanno cercato di farci credere. È ora di prenderne coscienza, di essere fieri del nostro passato e di portarlo con noi nel nostro futuro, ricordando quel piccolo grande esercito che durante sei lunghi anni compì un piccolo miracolo, permettendo di salvaguardare la nostra sicurezza e la nostra sovranità, quel piccolo grande esercito che oggi alcuni vorrebbero toglierci.

Luca Paltenghi
Segretario generale Giovani UDC Svizzera
Candidato UDC al Consiglio nazionale