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In un intervento sulle onde della radio romanda RSR, questa mattina la presidente della Confederazione Micheline Calmy Rey ha commentato l’attuale situazione in Libia, tornando brevemente (e con un leggero fastidio) sulla vicenda dei due ostaggi svizzeri trattenuti a Tripoli dal 2009 al 2010.

Commentando le dichiarazioni di settimana scorsa rilasciate dall’ex Consigliere federale Hans Rudolf Merz, Calmy Rey ha dichiarato di provare pietà nei confronti dell’ex collega di governo : “Provo una grande pietà per Merz, per questo suo estremo bisogno di spiegare quanto era accaduto con Gheddafi, provo pietà per la sua necessità di dare spiegazioni allo scopo di sentirsi liberato dal peso che lo opprime (…) Mi infastisce parlare di questa vicenda, mi infastidisce parlare di questa storia passata. Se oggi si vuole parlare della Libia lo si deve fare parlando del suo futuro.”

Venerdì 21 ottobre Hans Rudolf Merz era intervenuto sul Tages Anzeiger riguardo alla vicenda degli ostaggi svizzeri in Libia, Rachid Hamdani e Max Göldi, dichiarando che per non mettere la loro vita in pericolo, di fronte alle pesanti critiche nei suoi confronti aveva rinunciato a spiegare cosa fosse veramente accaduto a Tripoli.
Aveva aggiunto che nel giro di qualche giorno avrebbe raccontato tutta la verità, tutto quanto era realmente successo in occasione del suo viaggio a Tripoli, ma a tutt’oggi non ha rilasciato alcuna dichiarazione.
Merz era stato molto criticato per come aveva gestito la questione degli ostaggi. In qualità di presidente della Confederazione si era recato a Tripoli nell’estate del 2009 con la speranza di riportarli in patria ma si era trovato di fronte al secco rifiuto di Muammar Gheddafi.
Il colonnello (ucciso a Sirte il 20 ottobre scorso) lo aveva fatto tornare in Svizzera senza gli ostaggi e lo aveva obbligato a scusarsi pubblicamente per come la giustizia del canton Ginevra aveva trattato suo figlio Hannibal (attualmente rifugiato in Algeria). Hannibal e sua moglie erano stati arrestati a Ginevra per percosse al personale di servizio.
L’accaduto venne definito “l’umiliazione pubblica della Svizzera” e Merz ne portò il peso sino alla fine della sua permanenza nel Consiglio federale.