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Che la disoccupazione giovanile sia una problematica che deve preoccupare tutti, penso non lo metta in dubbio nessuno ed è giustissimo parlarne e, se possibile, trovare delle soluzioni valide.
Quello però che durante questa campagna elettorale mi ha disturbato parecchio – e sicuramente non sono il solo – è il fatto che c’è un’altra categoria di disoccupati, ben più a rischio, dei quali non si parla volentieri o comunque se ne parla molto meno. Forse perché elettoralmente “paga” più il giovane che è anche un nuovo potenziale elettore? Il dubbio mi assale.
La categoria di disoccupati della quale sto parlando è quella di chi perde il lavoro dai 50 anni in su e che, sicuramente, si trova in maggiori difficoltà rispetto al giovane di 20 o 25 anni.
Non parlo perché sono un 55enne che, fortunatamente (?) ha un posto di lavoro; parlo (o scrivo) perché effettivamente la perdita del lavoro da parte di una persona sui 50 anni può diventare in poco tempo un vero e proprio dramma.
Lo sappiamo tutti che a questa età “si costa troppo” quando si va a cercare un posto di lavoro, perché questa, piaccia o non piaccia, è la tipica frase che molti 50enni (e oltre) disoccupati si sentono dire da molti datori di lavoro. Questa purtroppo è la triste realtà in una società che “ti rifiuta” dopo magari 30 anni di lavoro, con una famiglia a carico e la casa ancora da pagare.
Fino a quando dureranno queste vere e proprie ingiustizie sociali?

Non parliamo poi delle umiliazioni e delle frustrazioni che spesso accompagnano queste situazioni che possono portare a malattie, litigi in famiglia, divorzi o peggio ancora.
Ecco perché ritengo non si parli abbastanza di questa realtà, che a mio avviso non viene considerata sufficientemente e sostenuta con le dovute misure concrete da parte dello Stato.
Ho scritto “misure concrete” e non pagliativi di breve durata.
Intendiamoci, nulla di personale con i giovani disoccupati (anch’io ho una figlia di 18 anni che per ora studia) ma a 20 o 25 anni la situazione è ben diversa che non perdere il lavoro a 50 o 55 e spero di non dover star qui ad elencare i vari perché.
Senza contare che bisognerebbe anche esaminare caso per caso nel “calderone disoccupazione giovanile”, in quanto se è vero che da parte di molti giovani c’è volontà di inserirsi nel mondo del lavoro, da parte di altri è più comodo andare a timbrare magari con l’auto sportiva (spesso con leasing proibitivi) e nei periodi estivi.

Queste, mi dispiace dirlo, sono realtà. Anche se a qualcuno non faranno sicuramente piacere. Sono rimasto letteralmente di stucco quando seguendo uno dei dibattiti elettorali ho sentito dire che a Lugano erano in crescita coloro che a 23 o 25 anni chiedevano l’assistenza (?).
Qui non ci siamo e concordo pienamente con Fulvio Pelli che in quell’occasione ha avuto una reazione di stizza, chiedendo se sia normale che un giovane a quell’età debba usufruire dell’assistenza e non trovi un’occupazione alternativa al suo diploma, magari “meno nobile” anche solo per un determinato periodo.
E voglio essere ancora più chiaro: non esiste che un giovane a 23 o 25 anni usufruisca dell’assistenza. Non esiste … è diseducativo e deresponsabilizza i giovani stessi.
Si adoperino questi soldi piuttosto per aiutare coloro che rimangono senza lavoro a 50 anni e oltre e che hanno pagato imposte per almeno 30 anni. Ma è così difficile da capire?

Poggi Donatello
“Etica e Giustizia Sociale”