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L’importanza di porsi domande.
La scuola pubblica ticinese gode di buona salute? Soddisfa le legittime aspettative degli utenti? Prepara le nuove generazioni a contribuire validamente al futuro del Paese?


La risposta dipende dagli obiettivi che ci si prefigge. I dati ufficiali, ricavati da indagini quali PISA e “Scuola a tutto campo” (ricerca condotta dal DFA su incarico del DECS e pubblicata nel 2010) danno indicazioni sostanzialmente positive: la nostra scuola dell’obbligo consegue una buona equità, garantendo una soddisfacente omogeneità dei risultati scolastici negli allievi più dotati come in quelli meno dotati. In più, il tasso di bocciature nella scuola media è davvero basso: inferiore al 4%. Ciò significa che, a conclusione degli studi obbligatori, il diploma è garantito alla quasi totalità degli allievi.

Questi risultati positivi sollevano qualche interrogativo. L’equità si può ottenere in due diversi modi, non ugualmente positivi: il primo modo, quello dell’equità vera, consiste nel fornire agli allievi svantaggiati un sostegno didattico tale da consentire loro di raggiungere, sostanzialmente, i livelli minimi di competenza richiesti da una formazione culturale seria e rigorosa.
Ma c’è un altro modo possibile per raggiungere l’equità: abbassare il livello delle competenze richieste, adattandole alle capacità degli allievi meno abili. In tal modo ci si garantisce che anche gli allievi svantaggiati si adeguino, grosso modo, alle richieste scolastiche; ma ciascuno vede che una simile “equità” sarebbe iniqua nei confronti degli allievi migliori, che sarebbero indotti a non mobilitare a fondo le proprie risorse e dovrebbero accontentarsi di un apprendimento inferiore alle loro capacità.
Inoltre, la formazione così fornita dalla scuola media potrebbe risultare scarsa rispetto alle esigenze dei successivi curricoli di formazione e alle richieste del mondo del lavoro.

DOMANDE LEGITTIME, IMPORTANTI
È dunque lecito chiedersi quale delle due forme di equità sia effettivamente perseguita dalla nostra scuola dell’obbligo. Una risposta chiara è al momento impossibile; ci sono però tre dati che sembrano far propendere per la seconda.

Il primo: come segnala lo studio “Scuola a tutto campo”, la differenza di punteggio tra gli allievi più forti e quelli più deboli è, nel Ticino, la minore rispetto a tutti gli altri Cantoni.
Il divario di prestazioni tra forti e deboli è dunque ridotto: ma con vantaggio per tutti, o a salvaguardia dei peggiori e a danno dei migliori?
Di nuovo, c’è un modo per far sì che tutti gli atleti ottengano uguali successi nel salto: porre l’asticella da saltare ad un’altezza di 30 cm. È in questo modo che la nostra scuola riduce il divario delle competenze?
Il secondo dato è più chiaramente significativo: il tasso delle bocciature nella prima classe liceale raggiunge punte del 25%.
Allievi, dunque, che risultano adeguatamente competenti per la Scuola media, si rivelano nettamente carenti per la prosecuzione degli studi.
La ricerca “Scuola a tutto campo”, che riporta questo dato, lo giustifica osservando che la scuola dell’obbligo non ha come obiettivo quello di selezionare gli allievi, mentre gli studi superiori sì. Una spiegazione accettabile sul piano ideologico, ma che non toglie certo i dubbi sul livello di preparazione al termine dell’obbligatorietà scolastica.
Infine, il terzo dato. I rilevamenti ufficiali condotti per conto del DECS mostrano chiaramente che l’insuccesso scolastico colpisce prevalentemente gli allievi di estrazione sociale bassa: ciò induce di nuovo a domandarsi se la scuola dell’obbligo ottenga l’equità fornendo a tutti indifferentemente strumenti culturali adeguati, oppure fornendone solo una parte che serve, sì, a ridurre lo scarto dei risultati, ma non a compensare davvero gli svantaggi socioculturali di partenza.
Sono domande legittime, come si vede. Sono domande importanti, perché la valutazione di una scuola e del suo grado di salute dipende, sostanzialmente, dalla sua capacità di trasmettere cultura e competenze ad un buon livello e per il maggior numero possibile di allievi.

ALTRE ZONE D’OMBRA
Al di fuori dei dati statistici ufficiali, ci sono altri segnali che sollevano dubbi e domande sulla scuola ticinese: sono le lettere inviate ai giornali da genitori, studenti, docenti o semplici cittadini; sono, anche, indicazioni che vengono dal mondo del lavoro o da esponenti politici.
Questi segnali sono numerosi: gran parte di essi sono stati raccolti nel sito dell’ASCSI, dove sono consultabili da chiunque (www.societacivile.com/progetti/rapporto-tra-scuola-e-societa).

La maggior parte di questi interventi contiene critiche e riserve relative a questo o quell’aspetto della scuola ticinese. Ne indichiamo alcuni – quelli che ci sembrano puntare il dito su problemi prioritari:
– La scuola coltiva sempre meno la cultura degli allievi; punta su competenze strumentali, più che sulla crescita culturale della persona; tende a ridurre l’apprendimento a livello di gioco; privilegia la pedagogia della facilità, più che quella dell’impegno serio e rigoroso.
– La scuola esige sempre meno codici di comportamento rispettosi dell’istituzione scolastica, di sé, degli altri e dell’ambiente comune. Le forme di trasgressione – dalla maleducazione all’insubordinazione, dal bullismo alla violenza, dal vandalismo al consumo di sostanze vietate – sono sempre più frequenti e la scuola rimane indifferente, oppure non dispone di misure disciplinari adeguate per contrastare questa tendenza.
– Il sistema attuale di formazione, abilitazione e assunzione del personale insegnante risulta eccessivamente impegnativo, poco funzionale e demotivante per chi vorrebbe abbracciare questa professione.
– La modesta retribuzione del personale docente, che pone il Ticino tra gli ultimi posti dei cantoni svizzeri, non contribuisce certo a rendere attrattiva una professione che, di per sé, è già onerosa, logorante e, talvolta, scarsamente gratificante.
– Il nostro sistema di formazione e di orientamento professionale sembra avviare prevalentemente verso gli studi medio-superiori (il tasso di licealizzazione nel Canton Ticino è nettamente superiore alla media elvetica). Ciò comporta una mancanza di mano d’opera qualificata in diversi settori del mondo del lavoro.

Quanto c’è di vero nelle critiche e negli interrogativi posti da questi interventi? Forse nulla, o ben poco: è questa la speranza che tutti vorremmo vedere confermata. Ma per dare corpo alla speranza, o per accettare la delusione e porvi rimedio, occorre esaminare seriamente gli interrogativi sollevati, senza preclusioni e senza censure ideologiche, con il solo intento di capire e, se possibile, migliorare.
Occorre discutere della scuola pubblica ticinese e del suo stato di salute.
È tempo di parlarne.

Franco Zambelloni

filosofo, professore liceale, conferenziere di chiara fama, scrittore (nel 1990 ha vinto il Premio Campione d’Italia con il libro “Lo specchio vuoto”, edito da Giampiero Casagrande di Lugano).

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