Ci fu la mania del cioè, poi quella dell’attimino, prima ancora quella del discorso a monte (mai una volta che fosse a valle).
Adesso, assieme al vezzo del «ciao ciao ciao» al termine di ogni incontro, c’è la moda delle virgolette, che io torno a deplorare. Ogni parola o espressione che si vuol dire e non dire, o relativizzare prendendone le distanze, viene messa fra virgolette.
Le virgolette, secondo un uso corretto, servono a definire una citazione o a dare un senso non letterale a una parola: se io scrivo che ormai solo un «chirurgo» può intervenire su un partito politico in crisi, le virgolette significano che il termine è usato per analogia. Ma se uno dice, parlando di una coppia, che è «normale», cioè composta di maschio e femmina, usa le virgolette per dire che quel normale sarebbe normale secondo una normalità tradizionale ma che lui potrebbe anche accettare altre normalità, con o senza virgolette: dice e non dice, insomma.
E quando uno dice, come mi è capitato di leggere, che ama le vacanze «intelligenti», le donne «in carne» e le serate «eccitanti», perché mai deve relativizzare con delle virgolette i suoi gusti soggettivi?
E i titoli giornalistici? Ho letto: L’UDC «bacchetta» Calmy-Rey. Se l’ha criticata duramente, è una bacchettata e a nulla vale virgolettare, perché bacchettare ha un suo significato letterale ma anche un suo legittimo senso figurato.
Perché le virgolette sono così di moda? Una ragione è la povertà di vocabolario, per la quale si usano spesso le stesse parole mutandone la forza con le virgolette invece di cercarne altre, più confacenti. Un’altra ragione è più di fondo: c’è una tendenza a sfumare, a dire e sminuire, a divagare rispetto alla realtà. Si corregge la realtà.
Ma la mania (la «manìa», direbbe qualcuno) dilaga anche verbalmente. L’altro giorno alla radio ho udito un giornalista dire in dieci minuti due volte l’espressione «fra virgolette». Una volta ha detto: le persone fra virgolette normali; e un’altra volta: c’è un po’ fra virgolette la moda… Ma da quando le punteggiature vengono dette? È come se io dicessi: sto scrivendo, virgola, un pezzo sulla, fra virgolette, moda delle virgolette. Punto.
Ma ormai le virgolette appartengono anche ai gesti: avrete certamente visto, dal vero o in Tv, moltissime persone sottolineare alcune loro parole con le mani leggermente alzate ad abbozzare con due tocchi di dita l’azione del virgolettare: uno dice una cosa ma poi subito con un gesto si tira un po’ indietro, si cautela, si protegge. Mette una specie di preservativo alle proprie parole. Per evitare guai.
Se dico che i meridionali sono «pigri» e i bernesi «lenti», non corro il rischio di essere né razzista né pregiudiziale. Se non uso le virgolette, sono invece responsabile di quello che dico.
In tempi di incertezze, le virgolette sono un tranquillante lessicale e spesso un salvagente di correttezza. Le certezze non hanno bisogno di virgolette.
Vi immaginate Cartesio che afferma: penso, dunque «sono»? O il Cristiano dire che Cristo è nato, morto e «risorto»? Che ne direste di un innamorato che dicesse alla sua bella: tu lo sai che io «ti amo», alzando le manine a virgolettare? Il minimo che direste è che quell’innamorato è, fra virgolette, un mascalzone.
(dal Corriere del Ticino del 7.11.2011, per gentile concessione)