Lo scorso agosto, dopo settimane di discussioni e di tensione, Senato e Congresso degli Stati Uniti avevano ratificato il progetto di legge sull’innalzamento del tetto del debito pubblico del paese. In questo modo il massimo del debito aveva potuto essere aumentato oltre il limite stabilito per legge a 14’294 miliardi di dollari, scongiurando l’ipotesi di un default.

Il clima nevrotico che aveva contraddistinto il tira e molla per l’accettazione o meno del progetto di legge sta nuovamente aleggiando sulle istituzioni americane.
A Washington è iniziato un nuovo conto alla rovescia : entro il 23 novembre la Commissione del Congresso incaricata della riduzione del deficit di bilancio dovrà trovare il modo di risparmiare un minimo di 1’200 miliardi di dollari.
In caso contrario il governo taglierà automaticamente le spese militari e i programmi sociali.

Lo scorso agosto, a margine della snervante battaglia fra democratici e repubblicani per il tetto del debito, la Casa Bianca e i repubblicani al Congresso avevano trovato un accordo per un piano di riduzione delle spese di circa 2’100 miliardi di dollari sui prossimi dieci anni.
Un piano in due tempi, con una prima parte che prevede riduzioni per 900 miliardi.
La rimanenza sarebbe stata valutata da una Commissione composta da sei deputati repubblicani e sei democratici, che in tre mesi avrebbero dovuto trovare dove risparmiare almeno 1’200 miliardi.

Il piano prevedeva che qualora la Commissione non fosse riuscita a formulare entro il 23 novembre, o qualora il Congresso non avesse votato, il bilancio sarebbe stato automaticamente ridotto per questa cifra. E a farne le spese sarebbero state le spese militari e la socialità.
Da settimane i 12 deputati cercano una soluzione che non trovano. Quando manca una settimana alla data limite le indiscrezioni filtrano dalla sala nella quale sono stati confinati: come già era accaduto ad agosto per il tetto del debito, anche questa volta i due schieramenti partitici sono incapaci di trovare un accordo.
I repubblicani rifiutano di accettare gli aumenti d’imposte, mentre i democratici rifiutano di tagliare l’assicurazione malattia o le pensioni. L’incomprensione – ancora una volta – è totale.

In piena campagna elettorale nessuno dei due partiti è favorevole al compromesso. Gli osservatori sono pessimisti e la tensione è alta.
La prospettiva di tagli miliardari negli armamenti preoccupa ovviamente le lobby militari. In una riunione di settimana scorsa, il Segretario della Difesa Leon Panetta ha dichiarato che i tagli di bilancio avrebbero un effetto devastante.

Da mesi l’attenzione di tutti è focalizzata sulla crisi nella Zona euro, addirittura con economisti e esperti statunitensi che non risparmiamo critiche e previsioni catastrofiche per il sistema monetario europeo.
Invece l’evidente difficoltà della caotica e disastrata economia statunitense sembra non preoccupare nessuno.
Se il 23 novembre la Commissione del Congresso non avrà pronto l’accordo per il taglio di questi 1’200 miliardi, la presa di coscienza di quella che è in realtà la situazione negli Stati Uniti potrebbe generare notevoli turbolenze sui mercati e a farne le spese sarebbero nuovamente e sicuramente le piazze finanziarie europee.

(Ticinolive.ch/Le Point.fr)