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Tu scrivi su qualche tema profondo (che so, il destino dell’Occidente, il surriscaldamento del pianeta, persino la scommessa sull’aldilà) ma difficilmente senti vibrare intorno il formicolio dell’interesse.
Poi scrivi di un risotto con un sospetto di rosmarino in rosolatura e scopri un gran moto di lettori che hanno la loro da dire, al punto che verrebbe voglia di inventare una rubrica fissa, tipo «Risotto d’autore» o «Dimmi che risotto fai e ti dirò chi sei».

Vuol dire che va bene il rovello delle grandi questioni però anche il palato e tutti gli altri piaceri vogliono la loro parte. Tanto poi lo sappiamo che non di soli risotti vive l’uomo.
Intanto un bel risotto l’hanno combinato la Cancelleria di stato, il Governo e, ammettiamolo, una casualità eccezionale. Resta comunque incomprensibile il fatto che la domenica sera qualcuno sapeva dello stralunato sorteggio elettronico dettato da un algoritmo (non so cosa sia) ma del suo esito i media, il popolo e i candidati sono stati informati soltanto due giorni dopo, lasciando i candidati e il cantone in affanno.
Poi il Tribunale federale contesta l’algoritmo e ordina i bussolotti (mi sfuggono le reali motivazioni). Infine va in scena la cerimonia, fra la suspense e il grottesco, con visi tirati e applausi da stadio e Borradori che sembrava Blatter quando estrae l’abbinamento delle squadre ai mondiali.

Ora Marco Romano si rimboccherà le maniche e comincerà, come ha detto, a lavorare sul serio dopo il logorio di nervi che per un mese ha sfiancato lui e la sua compagna (pardon, avversaria) di partito. Monica Duca Widmer ha lavorato a lungo e bene per il cantone, come deputata sensibile e come ottima presidente del Parlamento. Può andarne fiera, anche se il voltafaccia della fortuna le ha ritirato il biglietto per Berna.
A Marco Romano non mancano dinamismo e passione politica, ha davanti una strada lunga, appassionante e forse anche aspra.
Dall’alto della mia anagrafe oso suggerire, per l’avvenire, una maggiore attenzione alle esternazioni emotive. Dopo la clamorosa notizia del pareggio, non si pretendeva che potesse valere ancora il «ladies first» (prego, prima le signore) e dunque restare entrambi in lizza era la prosecuzione inevitabile di una campagna elettorale dura.
Però faccio fatica a capire il ragionamento secondo cui oltre vent’anni di esperienza e lavoro politico debbano diventare, per la candidata avversaria, un appesantimento cui opporre giovanile baldanza e non una richezza cui potersi affidare.
Un esempio: l’età media dell’osannato governo tecnico italiano è di 63 anni (più o meno la mia), ben oltre gli anni di Duca Widmer. Dunque io apprezzo sì il piglio della gioventù ma anche il fieno in cascina dell’esperienza collaudata.
Perché, come diceva Benedetto Croce, alla fine, a guardar bene, il compito più importante dei giovani è quello di diventare vecchi. Nel senso di una continua maturazione di conoscenza, esperienza e realismo. A Marco Romano ora il compito di dimostrare che la giovane età di un politico non è populismo anagrafico e giovanilista ma una partenza rispettosa per un cammino lungo e serio.

Buon lavoro a lui, onore delle armi alla candidata rimasta nel sacchetto di Borradori (si consoli: avrà più tempo per sé, per i suoi cari, per il suo lavoro).

Per gentile concessione – pubblicato sul Corriere del Ticino il 28.11.2011