“Per la magnifica libertà di parola e di azione che le veniva dalla sua cultura, accedeva in modo assennato anche al cospetto dei capi della città e non era motivo di vergogna per lei lo stare in mezzo agli uomini: infatti, a causa della sua straordinaria saggezza tutti la rispettavano profondamente e provavano verso di lei un timore reverenziale.”

(Tratto da un commento di Socrate Scolastico)

Ipazia, nata ad Alessandria d’Egitto fra il 355 e il 370 e qui uccisa nel marzo 415, era una matematica, astronoma e filosofa greca rappresentante della filosofia neoplatonica pagana. Ancora oggi viene considerata un’icona della libertà di pensiero.

Il padre maestro
Suo padre, Teone d’Alessandria, insegnava matematica e astronomia. Ipazia fu dapprima sua allieva e poi sua assistente. Prova di una collaborazione viene data dalle parole dello stesso Teone, che in un commento al Sistema matematico di Tolomeo scriveva che l’edizione “è stata controllata dalla filosofa Ipazia, mia figlia.”
Filostorgio, storico della Chiesa scrisse come ben presto la giovane divenne molto migliore del maestro, in particolare nell’astronomia e come, infine, sia stata ella stessa maestra nelle scienze matematiche.

Gli scritti scomparsi

Di Ipazia non resta alcun manoscritto e questo rende difficile stabilire il suo contributo effettivo al progresso del sapere matematico e astronomico della scuola di Alessandria, una scuola che fiorì grazie alla libertà di pensiero e che portò importanti passi in avanti nella geometria, nella trigonometria, nell’algebra, nel calcolo infinitesimale e nell’astronomia.
Per lo stesso motivo è difficile ricostruire il suo pensiero filosofico. Questo appare invece dagli scritti dei suoi discepoli, in particolare Sinesio.

Insegnante di chiunque volesse ascoltarla
Ipazia “era giunta a tanta cultura da superare di molto tutti i filosofi del suo tempo. Accorrevano da lei da ogni parte tutti coloro che desideravano pensare in modo filosofico – scriveva nel 440 lo storico Socrate Scolastico.
Un altro elemento che viene sottolineato dalle fonti antiche è il pubblico insegnamento che esercitava verso chiunque volesse ascoltarla: si gettava un mantello sulle spalle e usciva nelle strade a insegnare.
Un gesto di sfida coraggioso, audace. Quando cominciò a insegnare, verso il 390, a Alessandria venivano demoliti i templi dell’antica religione. I decreti emessi dall’imperatore Teodosio avevano vietato il culto pagano. Chi veniva sorpreso a compiere sacrifici celebrativi nei templi era messo a morte.
Veniva distrutta la cultura a cui apparteneva anche Ipazia e che lei, malgrado i divieti, era intenzionata a difendere e a diffondere.

Vittima del fondamentalismo cristiano
Malgrado l’amicizia con il vescovo Sinesio, uno dei suoi discepoli più affezionati, i fondamentalisti temevano che la filosofia neoplatonica di Ipazia e la sua libertà di pensiero avessero un’influenza pagana sulla comunità cristiana di Alessandria.
La sua morte maturò in un clima di crescente intolleranza. Narra Socrate Scolastico: “Era il mese di marzo del 415 e correva la quaresima: un gruppo di cristiani dall’animo surriscaldato, guidati da un lettore di nome Pietro, si misero d’accordo e si appostarono per sorprendere la donna mentre faceva ritorno a casa.
Tiratala giù dal carro, la trascinarono fino alla chiesa che prendeva il nome da Cesario; qui, strappatale la veste, la uccisero usando dei cocci. Dopo che l’ebbero fatta a pezzi membro a membro, trasportati i brandelli del suo corpo nel cosiddetto Cinerone, cancellarono ogni traccia bruciandoli.”

Dopo la sua morte molti dei suoi studenti lasciarono Alessandria. Fu l’inizio del declino della città che era divenuta uno dei maggiori centri della cultura antica.
Come ha detto l’astronoma italiana Margherita Hack, “Con la morte di Ipazia iniziò quel lungo periodo oscuro in cui il fondamentalismo religioso tentò di soffocare la ragione.”