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La metà degli investitori istituzionali del settore delle private equity conserva una serie di partecipazioni all’interno dei cosiddetti zombie funds, fondi clinicamente morti e incapaci di performare eppure tenuti artificialmente in vita dai loro gestori con l’obiettivo di incassare i profitti sulle commissioni in assenza di rendimenti sul mercati.
Lo rende noto l’ultimo rapporto “Global Private Equity Barometer” citato in anteprima dal quotidiano economico britannico Financial Times.

A determinare questa situazione è la tipica struttura retributiva delle società di private equity, i cui fondi di investimento rendono ai loro gestori una quota compresa tra l’1,5 ed il 2% del capitale sottoforma di commissione più un interesse del 20% sui profitti.
A far scattare i bonus per il management sono solitamente i rendimenti equivalenti all’8% dell’investimento. Performance che, in molti casi, non si realizzano più da tempo.
Il fenomeno appare particolarmente evidente negli Stati Uniti dove i fondi non redditizi sarebbero, secondo il rapporto, oltre la metà (57%) del totale.

Il Financial Times scrive che quando un fondo risulta in perdita l’obiettivo diviene la sua sopravvivenza di lungo periodo. La dimensione di portafoglio di questo foglio determina l’ammontare definitivo della commissione.
L’80% degli investitori prevede di ricevere una richiesta da parte dei gestori per l’allungamento dei tempi dell’investimento, anche per garantire a questi ultimi maggiori possibilità di investire l’enorme surplus di capitale accumulato negli anni che hanno preceduto la crisi finanziaria mondiale.

(Fonte: Valori.it)