Colpisce l’indifferenza che ha accolto la riunione del 13 dicembre del Quartetto per il Medio Oriente (Stati Uniti, Unione europea, Russia e Nazioni Unite) e l’ennesimo appello alla ripresa dei negoziati diretti del processo di pace. La comunità internazionale è disillusa e sempre più convinta che sia inutile sperare nel benché minimo progresso tra israeliani e palestinesi.
Ad aumentare il pessimismo circa un’evoluzione positiva del processo di pace ci sono le scadenze elettorali del prossimo anno in Russia e Stati Uniti. Con le elezioni presidenziali in agenda questi due principali partner del Quartetto potrebbero essere poco inclini a mantenere viva l’attenzione sul dossier.
Nel frattempo avanza inesorabilmente l’espansione dei coloni ebrei in Cisgiordania e a Gerusalemme est, allontanando sempre più la soluzione dei due Stati sovrani.
L’annuncio, il 18 dicembre, della costruzione di oltre mille alloggi nelle colonie di Har Homa e Givat Zeev (nella foto) a Gerusalemme est, così come nella colonia ultra-ortodossa di Betar Illit, situate oltre la linea verde (la linea del cessate il fuoco del 1949, considerata come base dei negoziati per le frontiere del futuro Stato palestinese) mostra appieno la direzione presa dalla politica israeliana.
Della stessa strategia fa parte la decisione dell’11 dicembre di autorizzare l’estensione della colonia di Efrat a sud di Betlemme, il che porta l’insediamento sino alle porte del luogo sacro della Natività.
Ogni volta che una colonia è prevista nelle zone che considerano facenti parte di Gerusalemme, le autorità israeliane hanno due giustificazioni : si tratta di territori integrati a Israele, qualunque sia il risultato dei negoziati con i palestinesi e inoltre Israele ha il diritto di costruire attorno e dentro Gerusalemme, che considera la sua capitale eterna e indivisibile.
Ci sarebbe anche una terza spiegazione: nel territorio israeliano vi è penuria di alloggi, il che rende necessario l’insediamento di nuove colonie nei Territori palestinesi occupati.