Anno che va, anno che viene. Sosto un momento su quello appena finito. Cerco di andare controvento, tanto per allenare la resistenza ai conformismi psicomediatici cui indulgo talvolta io stesso.
Mi chiedo per esempio cosa ci fosse da esultare così tanto per il fatto che il 14 dicembre il partito di maggioranza relativa in Svizzera abbia ottenuto un solo seggio in Consiglio federale mentre quelli che hanno avuto quasi la metà di voti in meno ne abbiano ottenuti due.
Non vedo poi cosa ci fosse da esultare per la rielezione di una ministra che stando a quanto hanno dichiarato per esempio i nostri due senatori Fabio Abate e Filippo Lombardi non ha fatto niente di speciale ed è soltanto diligente (e astuta).
Che una consigliera che rappresenta il 5 per cento dei voti sbarri la strada a un candidato di un partito che ne ha più di cinque volte tanti non mi pare concorra molto alla invocata armonia di Governo.
Che quella stessa consigliera, che era UDC, sia stata usata quattro anni fa, lei consenziente, per buttare fuori dal Governo il suo proprio leader, non mi parve un gesto molto eroico né da parte sua né da parte di chi orchestrò la manovra.
Quando il Parlamento svizzero elesse il socialista Matthey contro la candidata socialista ufficiale Brunner, tutta la sinistra di piazza e di salotto insorse e Matthey fu costretto a rinunciare. Avesse accettato, sarebbe stato lapidato come bieco traditore.
Widmer-Schlumpf invece accettò l’elezione addirittura contro un ministro già in carica del suo partito e divenne un’eroina.
Tutti pazzi per Eveline, dunque, anche lo scorso dicembre. Io la penso come Fulvio Pelli: la parte populista ed emotivamente semplicistica dell’UDC la si sgrezza lentamente accogliendola secondo proporzione nei meccanismi della concordanza e non relegandola in un esilio decretato dai perbenisti della politica.
In una specie di opposizione forzata il populismo cresce, non diminuisce. E l’UDC ha anche una sua parte ragionevole, che ha il merito di aver intercettato alcuni problemi reali. Con quella parte, suffragata comunque da un massiccio voto popolare, conviene dialogare costruttivamente.
Invece si continua a coltivare l’icona del cattivo della politica svizzera, Christoph Blocher, al punto che nella attuale vicenda del capo della Nanca nazionale non si discute tanto sulla presunta inopportunità etica delle speculazioni della famiglia Hildebrand ma ci si indigna piuttosto per il ruolo di Blocher nel denunciarla.
Se la denuncia fosse venuta da qualche coraggioso giornalista d’assalto o da qualche arrembante deputato della sinistra sarebbero nati gli stessi sospetti?
Il 2011 è stato l’anno della fuoriuscita dal nucleare (annunciata). Può essere salutare, in prospettiva, cambiare strategia energetica. Ma non è razionale che ciò sia stato dettato da un terremoto avvenuto in Giappone, all’altro capo del mondo. Intanto, non è ancora chiaro il bilancio degli eventuali gravi danni radioattivi in Giapppone.
Ma se il nucleare era pericoloso in sé, perché mai i nostri governanti non hanno pensato di uscirne prima di Fukushima? E se non è gravemente pericoloso più di altri fattori del progresso, perché uscirne in fretta e furia dopo una notizia di forte impatto emotivo? Non è populismo anche questo?
Michele Fazioli
(Pubblicato sul Corriere del Ticino del 9.1.2012. Per gentile concessione)